Mobbing sul lavoro: per la Cassazione è stalking occupazionale

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  • On Aprile 19, 2022
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In Italia la disciplina del mobbing, oltre ad essere di recente introduzione, è molto diversa da quella della Francia, dove questa fattispecie è invece da tempo regolata e punita dal codice penale, in particolare dall’art. 222-33-2, ove è espressamente previsto che integra gli estremi del reato di harcèlement moral la condotta del datore di lavoro che, con ripetute azioni, tende a degradare le condizioni di lavoro del proprio dipendente ledendone i diritti e più in generale la dignità, alternandone la salute fisica o mentale e/o compromettendone il futuro professionale. 

La citata disposizione francesce ha condotto, tra i tanti casi pratici divenuti poi di pubblico dominio, il tribunal correctionel di Parigi alla condanna a un anno di reclusione di un datore di lavoro e di due dirigenti per 19 casi di suicidio, 12 di tentato suicidio e 8 di depressione o interruzione di lavoro tra i dipendenti, con l’accusa di aver degradato le condizioni di lavoro e creato un clima ansiogeno pur di ottenere il risultato sperato.

Storia del reato di mobbing

Il mobbing in Italia non è espressamente previsto dal nostro codice penale come condotta astrattamente punibile; la sanzione penale connessa a tale condotta è, dunque, prevista esclusivamente dalla giurisprudenza che, proprio in questi giorni, sta vivendo una fase del tutto inaspettata e quanto mai promettente per i lavoratori.

Cosa dice la giurisprudenza della Cassazione

Sul punto si confrontano ormai due orientamenti della Corte Suprema di Cassazione: 

La Sez. VI della Corte Suprema ha chiarito che: “le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cosiddetto mobbing) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p. esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, sia cioè caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia”

Diversamente, la Sezione V, con sentenza n. 12827 del 5 aprile 2022, ha accertato che sussiste il reato di persecuzione qualora il datore di lavoro “tramite reiterate minacce, anche di licenziamento, e denigratorie, nonché attraverso il ripetuto recapito di ingiustificate e pretestuose contestazioni di addebito disciplinare, abbia ingenerato nei dipendenti un duraturo stato di ansia e di paura così da costringerle ad alterare le loro abitudini di vita”.

La stessa Corte osserva che “anche nel caso di stalking ‘occupazionale’ per la sussistenza dell’art. 612-bis c.p. è sufficiente il dolo generico, con la conseguenza che è richiesta la mera volontà di attuare reiterate condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, mentre non occorre che tali condotte siano dirette ad un fine specifico” ed inoltre che “l’efficienza della società non può essere raggiunta attraverso la persecuzione e l’umiliazione dei dipendenti ed in genere mediante la commissione di delitti ai danni della persona, dovendo la tutela della persona e, nel caso specifico, del lavoratore in ogni caso prevalere sugli interessi economici” (sul punto si veda anche, C. Cass., sent. n. 31273 del 9 novembre 2021).

ll risultato è altamente significativo poiché, qualificato come sopra, il mobbing assume rilevanza penale a prescindere dalla parafamiliarità evocata dalla Sez. VI con riguardo all’art. 572 c.p., come sopra meglio spiegato.

Prospettive future

Tocca adesso al Parlamento raccogliere la sfida. In realtà più proposte di legge mirano a introdurre un apposito reato di mobbing tramite l’introduzione di un art. 612 ter c.p., al fine di punire espressamente il datore di lavoro, il dirigente o il lavoratore, che nel luogo o nell’ambito di lavoro, con condotte reiterate, compiano atti, omissioni o comportamenti di vessazione o di persecuzione psicologica tali da compromettere la salute o la professionalità o la dignità del lavoratore e/o del collega. Ai fini della qualificazione del reato, però, la giurisprudenza della Corte di cassazione è concorde nel ritenere di non includere le condotte vessatorie tenute in un’unica occasione.

Credit by: IPSOA Quotidiano

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