Ferie libere e lavoro “a fisarmonica”: la rivoluzione di OneDay

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  • On Aprile 15, 2022
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È una delle aziende più giovani d’Italia e, anche per questo, la più innovativa in termini di “flessibilità” del lavoro; parliamo di OneDay, il gruppo imprenditoriale co-fondato nel 2016 da Paolo de Nadai, attuale presidente, a cui fanno capo community di successo come ScuolaZoo, We Road e House of Talent.

Quale unico comune denominatore, non c’è dubbio, vi è la capacità di comunicare in modo diretto alla nuova generazione Z.

Le nuove esigenze dei lavoratori

OneDay è stata una tra le prime, in Italia e prima ancora della pandemia, a intercettare a una serie di nuove esigenze dei lavoratori: non avere orari fissi e obblighi di presenza in ufficio, poter gestire con maggiore autonomia le proprie mansioni, garantirsi un’organizzazione di lavoro che si concili con la vita privata.

Adesso, le compagnie del gruppo hanno fatto un ulteriore passo in avanti, promuovendo le cd. “ferie libere”: non più (e non solo) ventisei giorni di riposo all’anno, ma un ventaglio di vacanze programmabili su misura, a seconda delle esigenze personali di ciascun dipendente.

Ecco l’intervista  rilasciata al quotidiano online IPSOA Quotidiano da Elena Pozzetti, People & Culture Business partner del gruppo:

“Parto col dire che le ferie libere non ci sono venute in mente dal nulla, ma rientrano in un percorso inaugurato già nel 2018, quando abbiamo tolto il cartellino e inserito l’orario flessibile. Il progetto nasce da qui, dal fatto che in OneDay tutte le persone sono portate ogni giorno a essere imprenditori di sé stesse e responsabili del proprio tempo”.

Come vi regolate, di fatto? È possibile, per esempio, che un dipendente porti a termine un progetto e a fine giornata vada dal proprio responsabile a dire “domani non ci sono”?

“Chiunque può fare più ferie di quelle previste dal contratto, senza andare in rosso. L’approvazione del team leader c’è sempre, ma in un modo assolutamente informale (basta un sì o un no a voce, ndr). Quello che ci aspettiamo è che le persone siano responsabili e si regolino in base agli impegni e al flusso di lavoro collettivo. Solitamente non ci sono intoppi, la persona chiede ferie solo se sa di essere veramente libera”.

Quattro settimane di riposo all’anno sono già previste dalla legge. Perché secondo voi non sono sufficienti? E che vantaggi ha un sistema aperto come il vostro rispetto a uno cosiddetto “tradizionale”?

“Il punto non è che siano poche. Il punto è che quattro settimane per alcuni sono poche, per altri troppe: il riposo è un fatto soggettivo e in un sistema per così dire ‘normale’ viene gestito con troppa rigidità. Invece, da noi, le persone possono prendere riposo quando sentono di averne bisogno: non c’è più un calcolo su Excel ma sulle proprie esigenze personali. I vantaggi? In un momento ‘di scarico’ le persone si sentono libere di staccare la spina, uscire prima e tornare molto più cariche, in un momento ‘di picco’ non sono obbligate a prendere ferie e possono continuare a lavorare. Da noi non esistono chiusure aziendali obbligatorie per tutti, il lavoro è ‘a fisarmonica’”.

Perché avete preferito le “ferie libere” e non, per esempio, la settimana corta che molte aziende, soprattutto all’estero, stanno adottando in questo momento?

“Perché la settimana corta non è altrettanto flessibile, non tiene conto dei flussi di lavoro e dei momenti di picco. Se una persona in tre giorni riesce a finire tutto e può prendersi due giorni liberi va bene. Ma se deve morire prima perché deve fare tutto in tre giorni non ha molto senso”.  

Mi scusi, ma davvero non c’è un limite a queste “ferie libere”?

“Sì, davvero, l’unico limite è dettato dagli obiettivi. Se nel mese precedente alle ferie gli obiettivi non vengono raggiunti il limite si crea. Se invece c’è un fuoriclasse super veloce che raggiunge tutti gli obiettivi con due mesi di anticipo può prendersi anche due mesi liberi in più rispetto a quelli programmati. Per noi l’importante è che tutti facciano almeno ventisei giorni di ferie all’anno. Abbiamo persone che dicono ‘io non ne ho bisogno, a me piace venire a lavorare’, ma per fortuna sono casi estremi”.  

Credit by: IPSOA Quotidiano 

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