
REPERIBILITÀ: IL MEDICO NON PUÒ RIFIUTARE DI RECARSI IN OSPEDALE
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- On Febbraio 14, 2025
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Con la sentenza nº 1911 del gennaio 2025 la Cassazione ha ribadito che “il rifiuto del lavoratore di adempiere ad una disposizione di servizio è legittimo soltanto se conforme a buona fede, considerando le circostanze del caso concreto (Cass. n. 10227/2023)”.
La Corte di Cassazione, sezione civile, ha rigettato il ricorso proposto da un dirigente medico per l’impugnazione della sanzione disciplinare che gli era stata irrogata per non essersi recato presso la struttura, pur essendo in turno di pronta disponibilità ed essendo stata richiesta la sua presenza.
I FATTI
Il 4 ottobre del 2015 il medico era stato raggiunto da una prima chiamata telefonica, effettuata dall’infermiera del reparto perché era richiesta la sua presenza in ospedale, seguita dalla chiamata del direttore della unità complessa di chirurgia, che gli aveva ordinato di recarsi in reparto.
Tuttavia il medico si era rifiutato di recarsi in ospedale e, per tale ragione, gli era stata comminata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per tre giorni.
LE SENTENZE DI PRIMO E SECONDO GRADO
Il Tribunale e la Corte d’Appello hanno respinto il ricorso dell’uomo affermando che il medico reperibile è tenuto a prestare l’attività per cui è chiamato, anche fuori dai casi di emergenza.
Il medico, dunque, ha proposto ricorso in cassazione.
IL RICORSO IN CASSAZIONE
Con il primo motivo di ricorso il lavoratore ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. – la violazione e/o falsa applicazione dell’art. art. 51 c.p., nonché degli articoli 2086, 2094 e 2104 cod. civ. Secondo le difese del ricorrente, infatti, il lavoratore può sempre eccepire l’illegittimità dell’ordine quando la condotta richiesta sia contraria ai doveri di fedeltà e diligenza verso la parte datoriale, come nella fattispecie di causa, posto che la chiamata del medico in pronta disponibilità ha un maggior costo per la azienda rispetto al servizio ordinario.
Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. – l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, relativi alla natura delle indicazioni dei superiori gerarchici ed alla disciplina interna della chiamata in pronta disponibilità.
Secondo la difesa del medico dai documenti di causa risultava la grave incertezza sul regime della pronta disponibilità prima della delibera della azienda ospedaliera del 28 dicembre 2017 e, in assenza del regolamento aziendale, la disciplina applicabile era quella dettata dall’art. 17 del CCNL, secondo cui la chiamata in servizio del medico in pronta disponibilità deve effettuarsi, per affrontare le situazioni di emergenza. Al riguardo, alla luce delle disposizione della direzione generale, con nota di servizio del 31 agosto 2015, il medico aveva comunicato al direttore della struttura di chirurgia ed al direttore sanitario che, dal mese di settembre, nei turni di reperibilità, si sarebbe attenuto alle disposizioni aziendali, limitando l’intervento alle urgenze del proprio e dell’altro reparto di chirurgia. Diversamente, il direttore della chirurgia generale, in contrasto con la nota di servizio della direzione generale, aveva affermato, con circolare del gennaio 2016, che il medico reperibile era tenuto a recarsi in ospedale per effettuare il giro di visite dei pazienti.
Inoltre, il ricorrente ha affermato che non vi era stata una effettiva chiamata in servizio da parte dell’infermiera.
Con il terzo motivo di ricorso, il lavoratore ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione del CCNL. Il ricorrente ha rilevato, infatti, che la sanzione disciplinare era stata irrogata per plurime violazioni del codice disciplinare aziendale e che la descrizione dell’addebito poteva sussumersi unicamente nella ipotesi di cui alla lett. i) del codice disciplinare. Il medico ha contestato la sentenza impugnata
per aver affermato che non era stata contestata in appello la riconducibilità del fatto alla fattispecie del codice disciplinare, evidenziando che la nuova configurazione dell’addebito offerta nella sentenza – che spostava l’illecito disciplinare dal merito della chiamata in servizio alla pura insubordinazione – era difforme dalla previsione disciplinare contestata, che concerneva il mancato rispetto dei compiti di vigilanza, operatività e continuità della assistenza al paziente nell’arco delle 24 ore.
LA SENTENZA DELLA SUPREMA CORTE
La Corte di cassazione ha ritenuto il primo motivo infondato.Secondo la giurisprudenza della Corte
il rifiuto del lavoratore di adempiere ad una disposizione di servizio è legittimo soltanto se conforme a buona fede, considerando le circostanze del caso concreto (Cass. n. 10227/2023). Correttamente la Corte territoriale ha affermato che il medico in servizio di pronta disponibilità che venga chiamato a prestare assistenza presso la struttura ospedaliera non può rifiutare la sua presenza e sindacare le ragioni della chiamata, assumendone la non conformità alla disciplina contrattuale; infatti il rifiuto sarebbe contrario a buona fede, comportando una interruzione del servizio di assistenza nell’arco della 24 ore, la cui continuità risponde ad un interesse pubblico prevalente e non procrastinabile.
Il secondo motivo, invece, è stato ritenuto inammissibile. Infatti,le eventuali ragioni di illegittimità della chiamata in servizio avrebbero potuto essere dedotte dal medico soltanto dopo aver reso la prestazione richiesta, al fine di evitare la interruzione del servizio di continuità assistenziale.
La Cassazione ha dichiarato inammissibile anche il terzo motivo di ricorso, in quanto
le ragioni di censura concernono la applicazione del codice disciplinare della azienda ospedaliera, la cui violazione non è deducibile in via diretta davanti alla Corte di legittimità perchè la denuncia del vizio di violazione dei contratti collettivi ex articolo 360 n. 3 cod. proc. civ. è limitata alle norme della contrattazione collettiva di area, aventi rilievo nazionale.
Il ricorso quindi è stato respinto.
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