Licenziamenti per motivi economici: quando è possibile. Settore per settore

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  • On Novembre 12, 2021
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A partire dalla scorsa primavera, in considerazione dell’attenuazione degli effetti della pandemia, il Legislatore ha riaperto la possibilità dei licenziamenti economici, disciplinando il ritorno alla “normalità” in maniera graduale e diversificata nei diversi settori, ma soprattutto prevedendo la possibilità, per l’Azienda, di chiedere ed ottenere, quale alternativa al licenziamento e con costi contenuti, l’avvio dei meccanismi delle integrazioni salariali quale alternativa ai licenziamenti.

Le previsioni di cui sopra sono contenute nel D.L. n. 146/2021, il quale ha stabilito la possibilità di irrogare i licenziamenti in commento, a partire dal 1 novembre 2021, per le seguenti categorie:

Imprese industriali e artigiane

Nella sostanza il Legislatore, pur riammettendo la possibilità dei licenziamenti economici, prevede anche la possibilità che l’Azienda acceda ad un sistema di ammortizzatori sociali quale quello delleintegrazioni salariali, con costi limitati o del tutto gratuiti, in favore dei lavoratori; se richiesti, gli ammortizzatori sociali impediscono i recessi per tutta la durata del trattamento di sostegno fruito.
È il caso, ad esempio, che riguarda le imprese industriali e artigiane, le quali, avendo subito, nel raffronto tra il primo semestre del 2019 e l’analogo periodo del 2021, un calo del fatturato in misura pari o superiore al 50%, sottoscrivono con le proprie rappresentanze sindacali un contratto di solidarietà difensivo che presenta alcune peculiarità .
Ed infatti, il periodo complessivo di 26 settimane si estende fino al 31 dicembre p.v.: l’istanza va presentata, attraverso il sistema telematico della CIGS on-line, alla Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione del Ministero del Lavoro che cura la fase istruttoria e quella concessoria.
Limitando la presente riflessione al tema dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, occorre sottolineare come non sussista un divieto esplicito ai recessi per motivi economici che emerga dalla previsione dell’art. 40 del D.L. n. 73/2021.
Nonostante ciò, non va dimenticato che il contratto di solidarietà difensivo, che è l’unico tra gli ammortizzatori sociali a richiedere un accordo con le organizzazioni sindacali, per produrre i propri effetti necessita:
a) il contratto di solidarietà va stipulato in un momento di crisi dell’azienda ove il sistema operativo pensato dal Legislatore passa attraverso una riduzione dell’orario dei dipendenti interessati in percentuale (nel caso di specie, 80% limite massimo di riduzione oraria intesa come media che per il singolo lavoratore può giungere fino al 90%), ma il tutto, come si evince dalla gestione del “normale” contratto di solidarietà, è finalizzato al blocco dei licenziamenti per motivi economici;
b) l’art. 4, comma 4, del D.M. n. 94033/2016 del Ministero del Lavoro che ha disciplinato le modalità operative relative agli ammortizzatori sociali straordinari prevede che durante il contratto di solidarietà difensivo “al fine di consentire la gestione non traumatica degli esuberi di personale, è possibile attivare la procedura di licenziamento collettivo solo con la non opposizione dei lavoratori”. Ciò significa che una eventuale procedura di riduzione di personale ex artt. 4, 5 e 24 della Legge n. 223/1991 (ma il discorso è analogo per i licenziamenti individuali) debba necessariamente prevedere come unico criterio quello della non opposizione degli interessati che aderiscono liberamente al recesso, magari supportato da incentivi all’esodo o accedono a risoluzioni consensuali.

Imprese rientranti nel campo di applicazione della CIGO

Un discorso diverso riguarda le imprese rientranti nel campo di applicazione della CIGO, come individuate dall’art. 10 del D.Lgs. n. 148/2015, che dal 1° luglio possono procedere ai licenziamenti sia individuali che collettivi, essendo venuto meno il blocco.
Il Legislatore ha previsto, nell’art. 40 del D.L. n. 73/2021 e fino al 31 dicembre 2021, una sorta di “paracadute” prevedendo una CIGO ordinaria senza il pagamento di alcun contributo addizionale.
Se ciò dovesse accadere, per tutta la durata del trattamento integrativo richiesto, restano precluse sia le procedure collettive di riduzione di personale che i recessi per motivi economici, indipendentemente dal numero dei lavoratori in forza.

Settore tessile

Per quel che riguarda, invece, le aziende che afferiscono al settore tessile il blocco dei licenziamenti è venuto meno con il 1° novembre scorso, ma, qualora ne avessero la necessità, per tutti i dipendenti in forza alla data del 22 ottobre potrà essere richiesta l’integrazione salariale, per un massimo di 9 settimane, fino alla fine dell’anno, richiamando la previsione “Covid-19” del D.L. n. 18/2020.

Imprese che non possono ricorrere ai trattamenti di integrazione salariale

Altra casistica particolare riguarda le imprese individuate dal comma 1 dell’art. 40-bis del D.L. n. 73/2021: si tratta di quelle che non possono ricorrere ai trattamenti di integrazione salariale ex D.Lgs. n. 148/2015 perché, ad esempio, hanno esaurito il “plafond” a disposizione nel quinquennio mobile: per esse, la norma ha riconosciuto un massimo di 13 settimane fino al 31 dicembre.

Aziende che accedono all’assegno ordinario FIS, ai fondi bilaterali o alla cassa in deroga

Anche i datori di lavoro che hanno quale riferimento per le integrazioni salariali l’assegno ordinario del FIS o dei fondi bilaterali o la cassa in deroga possono, a partire dal mese di novembre, procedere a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo a prescindere dai loro limiti dimensionali. Se, tuttavia, saranno costretti a sospendere o ridurre l’attività, potranno attivare i rispettivi ammortizzatori, per un massimo di 13 settimane, nel periodo compreso tra il 1° novembre ed il 31 dicembre 2021, senza il pagamento di alcun contributo addizionale, richiamando (cosa importante) gli interventi Covid-19 disciplinati dagli artt. 19 e seguenti del D.L. n. 18/2020. Le 13 settimane saranno concesse dall’Istituto, una volta autorizzato tutto il precedente periodo di 28 settimane e decorso il periodo autorizzato.
Anche in questo caso (e solo per i datori di lavoro richiedenti, come sottolinea, esplicitamente, il comma 7 dell’art. 11 del D.L. n. 146/2021) resta precluso, per tutto il periodo di fruizione dell’integrazione salariale, il ricorso sia alle procedure collettive di riduzione di personale ex lege n. 223/1991 e, prescindendo da qualsiasi vincolo determinato dall’ampiezza dell’organico, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della Legge n. 604/1966 e le eventuali procedure indicate dall’art. 7 della medesima legge, attraverso le quali il datore di lavoro di un’azienda dimensionata oltre le 15 unità (5, se agricola), in caso di recesso per motivi economici di un dipendente assunto prima del 7 marzo 2015, è tenuto ad effettuare il tentativo obbligatorio di conciliazione avanti alla commissione istituita presso ogni Ispettorato territoriale del Lavoro.

Settori del commercio, turismo, stabilimenti termali, spettacolo, creativo e culturale

Da ultimo, occorre ricordare che le imprese dei settori commercio, turismo, stabilimenti termali, spettacolo, creativo e culturale che richiedano ed ottengano, secondo la previsione dell’art. 43 del D.L. n. 73/2021, l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali pari al doppio delle ore già fruite nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2021, con esclusione dei premi e contributi versati all’INAIL, non possono procedere a licenziamenti per motivi economici fino al prossimo 31 dicembre. L’esonero, come noto, è, preventivamente, sottoposto alla approvazione della Commissione Europea ai sensi dell’art. 108, par. 3, del Trattato dell’Unione e secondo un comunicato stampa del Ministero del Lavoro dello scorso 2 agosto, l’autorizzazione è già avvenuta ma, al momento, non sembra che l’INPS abbia fornito le proprie indicazioni applicative.
Credit by:
Eufranio Massi –  IPSOA Quotidiano
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