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LAVORO: RIGETTATA DOMANDA DI ANNULLAMENTO DI CONCILIAZIONE DI UNA PARTECIPATA. NOTA A COMMENTO

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  • On Febbraio 10, 2023
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Con il ricorso depositato il 9 novembre 2020, una società a partecipazione pubblica ha chiesto al Tribunale di Gela, Sezione Lavoro, di accertare e dichiarare la nullità/annullamento del verbale di conciliazione sottoscritto il 28 maggio 2020 innanzi all’Ispettorato del Lavoro di Caltanissetta, con cui è stato risolto il rapporto lavorativo tra un dipendente e una società a totale partecipazione pubblica, con contestuale “passaggio” ad altra ed eguale società.

La domanda è stata rigettata dal Giudice del lavoro con la sentenza n. 292/2022 del Tribunale di Gela sezione Lavoro.

Di seguito la nota alla sentenza scritta dal Prof. Avv. Giuseppe Berretta e pubblicata al n. 1/23 della rivista RGL Giurisprudenza Online, edita da Futura Editrice.

NOTA – GIURISPRUDENZA REGIONALE 

RAPPORTO DI LAVORO

Tribunale Civile di Gela Sezione Lavoro 8.11.2022 – G.U. Est. Accardo – S. R. R. A. C. c/ A. C. e S. A. C. S.p.A. in liquidazione.

Parole chiave: Conciliazione – Vizi di volontà – Selezione pubblica 

Normativa: art. 2113 c.c. – artt. 35 e 36 d. lgs. n. 165/2001 – art. 45 l. r. siciliana n. 2/2007.

***

Con la sentenza in commento, il Giudice del Lavoro rigettava la domanda con cui la ricorrente, una società a totale partecipazione pubblica, chiedeva di accertare la nullità o dichiararsi l’annullamento del verbale conciliativo con cui si era proceduto all’assunzione di un lavoratore, previa risoluzione del rapporto di lavoro intercorso con altra società pubblica.

La società ricorrente assumeva di aver svolto, in sede conciliativa, un ruolo di “mera spettatrice”, e di essersi limitata a recepire gli effetti della transazioneper poi apprendere che l’originario rapporto di lavoro si era instaurato senza alcuna procedura selettiva comparativa, ma attraverso una scelta del tutto discrezionale.

In ragione delle circostanze di cui sopra, la resistente lamentava l’invalidità del verbale di conciliazione poiché, per un verso, il consenso le sarebbe stato dolosamente estorto e, per altro verso, perché contrario alle norme imperative che impongono alle società partecipate di assumere i propri dipendenti mediante procedura selettive. 

Il Giudice del Lavoro rigettava il ricorso.

In primo luogo, il Tribunale ha escluso che la società ricorrente fosse stata “mera spettatrice” della conciliazione e ciò non solo poiché al momento della sottoscrizione fosse presente rappresentante della società, ma anche, e soprattutto, perché nel corpo dell’accordo erano state analiticamente disciplinate le condizioni dell’instaurando rapporto di lavoro (a conferma di attiva partecipazione alla trattativa contrattuale).

In secondo luogo, il Giudice ha ritenuto che il silenzio serbato in quella sede in ordine alla genesi del rapporto non configurasse un’ipotesi di dolo omissivo.

Sul punto, nel corpo della pronuncia si rinvia alla giurisprudenza di legittimità per la quale il dolo omissivo: “è causa di annullamento, ai sensi dell’art. 1439 c.c., solo quando l’inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento, adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno perseguito, determinando l’errore del deceptus. Pertanto, il semplice silenzio, anche in ordine a situazioni di interesse della controparte, e la reticenza, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione della realtà alla quale sia pervenuto l’altro contraente, non costituiscono di per sé causa invalidante del contratto” (cfr. Cass. n. 9253/2006).

Inoltre, il Tribunale ha affrontato la questione del valore del silenzio, il quale  deve essere valutato tenendo conto delle particolari circostanze di fatto, nonché delle condizioni soggettive dei contraenti, al fine di stabilire l’idoneità della condotta a sorprendere un soggetto di normale diligenza, e nella fattispecie  la reticenza dei resistenti non poteva assumere il valore di dolo omissivo né, d’altra parte, la condotta sarebbe stata idonea ad indurre in errore la ricorrente qualora questa avesse operato diligentemente.

Infine il Giudice ha comunque rilevato che la normativa che impone alle società a totale partecipazione pubblica di assumere i propri dipendenti mediante l’espletamento di procedure concorsuali, non era vigente al momento in cui il lavoratore era stato assunto.

QUI LA SENTENZA (PDF)

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