Dalla Commissione Europea una proposta di direttiva sul lavoro tramite piattaforma digitale: il punto sulle previsioni in materia di qualificazione del rapporto di lavoro

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  • On Gennaio 3, 2022
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Il 9 dicembre 2021 la Commissione Europea ha pubblicato la propria proposta di direttiva in materia di lavoro tramite piattaforma digitale. La proposta si articola in 6 capi per un totale di 24 articoli e individua 3 direttrici per il miglioramento delle condizioni di lavoro del lavoro tramite piattaforma digitale.

L’ambito di applicazione della direttiva risulta essere più esteso rispetto a quello individuato dalle prime leggi nazionali di regolazione del fenomeno, destinate unicamente ai c.d. rider, poiché quest’ultima individua i diritti minimi applicabili ad ogni persona che, nell’Unione Europea, instaura un rapporto di lavoro, anche se dissimulato, con una piattaforma digitale, a prescindere dal settore merceologico in cui opera e dalla natura online (es. traduzioni, ecc.) o “on location” (es. delivery, lavoro domestico, ecc.) dell’attività.

Con riguardo alla corretta qualificazione del rapporto di lavoro, cui è dedicato il secondo capo della proposta di direttiva e su cui ci si soffermerà nel presente contributo, all’art. 4, par. 2, sono elencati i criteri per determinare in via presuntiva la natura subordinata del rapporto di lavoro in ragione del controllo operato dalla piattaforma digitale sulla attività lavorativa del “platform worker. Nello specifico, l’obiettivo delle disposizioni in commento è quello di fornire tutele a tutti quei lavoratori che, pur avendo sottoscritto un contratto di lavoro autonomo, nello svolgimento della propria attività lavorativa, ricevono un controllo tale da parte delle piattaforme digitali da poter essere considerati lavoratori subordinati.

La presunzione opera alla contemporanea presenza di almeno due delle seguenti cinque condizioni:

1) la piattaforma digitale determina unilateralmente il compenso;

2) la piattaforma digitale richiede al lavoratore l’adozione di specifici comportamenti (circa, ad es., l’abbigliamento, il rapporto con il cliente, la modalità di svolgimento dell’attività lavorativa);

3) la piattaforma digitale supervisione l’attività lavorativa o verifica la qualità del lavoro svolto, anche tramite mezzi elettronici;

4) la piattaforma digitale interferisce con la organizzazione del lavoratore, limitando, anche tramite sanzioni, l’autonomia organizzativa dello stesso per quanto riguarda, ad esempio,  la libertà di individuare i tempi di lavoro o i periodi di assenza dal lavoro e la libertà di accettare o rifiutare gli incarichi o di “subappaltare” l’attività;

5) la piattaforma digitale limita la possibilità, per il lavoratore, di acquisire clientela o di lavorare per più committenti. Come specificato all’art. 5, si tratta di una presunzione che ammette la prova contraria, il cui onere grava sulla piattaforma digitale, che dovrà dimostrare la natura autonoma del rapporto di lavoro riqualificato; mentre, nel caso in cui a contestare la qualificazione del rapporto, rivendicandone la natura autonoma, dovesse essere il lavoratore, la piattaforma digitale dovrà comunque fornire elementi utili a sostegno della tesi.

Come si ricorda nella parte introduttiva del documento in commento (explenatory memorandum), la Commissione ritiene che simili previsioni non abbiano unicamente un fine repressivo, favorendo, le stesse, la certezza del diritto nel mercato del lavoro di riferimento ed espungendo dallo stesso le realtà digitali che intendono accrescere la propria competitività e i propri profitti “sulla pelle” dei lavoratori coinvolti e a scapito delle condizioni di lavoro di quest’ultimi.

Una volta approvata la direttiva, dunque, la palla passerà ai singoli Paesi Membri, che, nel rispetto delle indicazioni generali tracciate dalla legislazione euro-unitaria, dovranno individuare le misure più efficaci per garantire tutele minime alla crescente schiera di lavoratori delle piattaforme digitali.

Credit by:

IPSOA Quotidiano

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