Contratto di rioccupazione: vantaggi limitati e con qualche dubbio operativo

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  • On Maggio 27, 2021
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Debutta una nuova tipologia contrattuale per i datori di lavoro e i lavoratori. E’ il contratto di rioccupazione, previsto dal decreto Sostegni bis, che al momento non ha una natura strutturale (la sua operatività termina infatti il 31 ottobre 2021). Il contratto è di natura subordinata ed a tempo indeterminato ed è finalizzato ad incentivare, con uno sgravio contributivo totale, l’occupazione dei lavoratori nella fase successiva al superamento della pandemia. Destinatari sono i lavoratori, disoccupati, che hanno offerto la propria disponibilità ad essere inseriti nel mondo del lavoro. L’analisi delle norme solleva alcune importanti questioni e qualche dubbio.

Una nuova tipologia contrattuale si affaccia nel nostro ordinamento giuslavoristico: il contratto di rioccupazione che, al momento non ha una natura strutturale, e che è previsto dall’art. 41 del decreto legge 25 maggio 2021, n. 73, c.d. decreto Sostegni bis.
Prima di andare entrare nel merito di quanto affermato nella disposizione, occorre sottolineare come lo stesso sia frutto di una esigenza avvertita dall’Esecutivo che è quella di attutire gli effetti perniciosi derivanti dal possibile “tsunami” successivo alla fine del blocco dei licenziamenti per motivi economici.
La struttura della tipologia ricalca altri contratti passati e presenti del nostro ordinamento offrendo un “mix” di norme che dovrebbero agevolare il Ministero del Lavoro (se vorrà dare indicazioni) e l’INPS nella formulazione dei chiarimenti operativi.
Ma andiamo con ordine.

Natura del contratto di rioccupazione…

Il contratto di rioccupazione è di natura subordinata ed a tempo indeterminato ed è finalizzato ad incentivare l’occupazione dei lavoratori nella fase successiva al superamento della pandemia: destinatari, sono i soggetti, disoccupati, che hanno offerto la propria disponibilità ad essere inseriti nel mondo del lavoro secondo la previsione dell’art. 19 del D.L.vo n. 150/2015. Il contratto è stipulato in forma scritta, ai fini della prova.
Qui, a mio avviso, è opportuno fare le prime considerazioni.
Si tratta di un contratto di rioccupazione: quindi, stando al tenore letterale della norma, esso riguarda non tutti i disoccupati (ci sono quelli che non hanno mai avuto alcun rapporto ed hanno offerto la propria disponibilità) ma, soltanto, chi ha già lavorato sia esso titolare o meno di un trattamento di NASpI o di DIS-COLL.

… e confronto con l’apprendistato professionalizzante

Per completezza di informazione ricordo che per gli “over 29”, titolari di un trattamento di disoccupazione già esiste un contratto, quello di apprendistato professionalizzante, per una qualificazione o riqualificazione professionale (che è un contratto a tempo indeterminato che il datore, a differenza del professionalizzante relativo ai giovani, non può risolvere al termine del periodo formativo esercitando la previsione contenuta nell’art. 2118 c.c.) e che per i potenziali datori di lavoro, a fronte di un piano formativo che segue le indicazioni del CCNL applicato, presenta, indubbiamente, più vantaggi, sol che si pensi alla contribuzione “propria” dell’apprendistato, alla possibilità (non obbligo) di retribuire il dipendente fino a due livelli in meno, secondo il percorso di progressione indicato dalla contrattazione collettiva ed ai vantaggi di natura normativa che consentono, ad esempio, di non computare nell’organico i lavoratori per tutta la durata della fase formativa e di non essere sottoposto, come nel caso del contratto di rioccupazione, ad ulteriori vincoli determinati anche dalla normativa comunitaria oltre che, come vedremo, dal Legislatore.

Progetto individuale di inserimento

Tale tipologia contrattuale deve essere accompagnata da un progetto individuale di inserimento di durata semestrale, concordato tra le parti, finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali. Qui, l’estensore della norma ha ripreso, per la formazione, un concetto già presente nel vecchio contratto di inserimento, istituito dal D.L.vo n. 276/2003 ed abrogato dalla legge n. 92/2012 e, rispetto al quale, le parole relative al progetto di inserimento, appaiono essere le stesse inserite nell’accordo interconfederale dell’11 febbraio 2004, propedeutico a tale ultima tipologia contrattuale.

Sanzioni per il licenziamento illegittimo

Durante l’espletamento della fase normativa, ricorda il Legislatore, valgono le regole sul licenziamento illegittimo: quindi, piena applicazione delle disposizioni contenute negli articoli 2 e 3 del D.L.vo n. 23/2015 che, a seconda della gravità, possono portare alla reintegra (ad esempio, in caso di licenziamento della donna nel “periodo protetto” o nell’ipotesi di un recesso determinato da un comportamento datoriale discriminatorio o ritorsivo) o alla corresponsione di una indennità risarcitoria sul cui importo il giudice può integrare il criterio dell’anzianità aziendale (scarsa) con quelli previsti dall’art. 8 della legge n. 604/1966, secondo le indicazioni fornite dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 194/2018.

Limiti di operatività

Ma, entro quale data è possibile stipulare contratti di rioccupazione?
Il periodo va dalla data di entrata in vigore del decreto legge (26 maggio 2021) fino al 31 ottobre 2021, da intendersi, alla luce di chiarimenti amministrativi dettati in precedenza per altri istituti (v. INL n. n. 713 del 16 settembre 2020 in relazione alle deroghe per proroghe e rinnovi relative ai contratti a termine) come giorno di instaurazione del rapporto.
Sul punto registro una sorta di incongruità tra l’obiettivo della norma (“incentivare l’inserimento nel mercato del lavoro….. nella fase di ripresa delle attività dopo l’emergenza epidemiologica”) e la data finale del periodo di applicazione del contratto di rioccupazione (31 ottobre 2021). L’incongruità è dimostrata dal fatto che il 1° novembre finisce il blocco dei licenziamenti nelle imprese meno strutturate che fanno ricorso alla CIG in deroga (sono quelle che occupano fino a cinque dipendenti) ed all’assegno ordinario del FIS e dei Fondi bilaterali, con un prevedibile aumento dei recessi. Ebbene, questi lavoratori non potranno beneficiare dei “vantaggi” del contratto di rioccupazione che, salvo “spostamenti in avanti” dell’ultimo giorno previsto, cesserà di esistere prima del loro licenziamento: è auspicabile che, in sede di conversione, si ponga rimedio a ciò che mi sembra una “svista” dell’estensore.

Risoluzione del rapporto di lavoro

Il contratto di rioccupazione offre la possibilità alle parti di risolvere il rapporto alla scadenza dei 6 mesi, come nell’apprendistato, esercitando la previsione dell’art. 2118 c.c.: durante il preavviso continua ad applicarsi la medesima disciplina e, se nessuna recede dal rapporto, quest’ultimo continua a tempo indeterminato. Ovviamente, durante tutto il periodo di inserimento, trovano applicazione le regole relative al contratto a tempo indeterminato con applicazione integrale degli istituti previsti sia dalla legge che dalla contrattazione collettiva.
Va, in ogni caso, sottolineato che se datore recede dal rapporto al termine del semestre incentivato, l’INPS (comma 8) è abilitato a recuperare lo sgravio riconosciuto.

Ambito di applicazione

Ma chi sono i datori di lavoro che possono stipulare i contratti di rioccupazione?
La norma si riferisce ai datori di lavoro privati (quindi, imprenditori e non imprenditori), con esclusione di quelli dei settori agricolo e domestico: probabilmente (ma qui occorrerà attendere le indicazioni amministrative dell’INPS o del Ministero del Lavoro) dovrebbero rientrare nella casistica gli Enti Pubblici Economici (in passato, le circolari dell’Istituto ne hanno, in casi del tutto analoghi, fornito un’ampia elencazione), mentre potrebbero essere escluse, in analogia con precedenti determinazioni, le Banche e le Compagnie di Assicurazione, per le quali sussiste un ostacolo derivante dalla Commissione Europea, in quanto come imprese finanziarie, svolgono le attività indicate dalla classificazione NACE, settore K. Non rientrano, infine, tra i beneficiari le Pubbliche Amministrazioni, individuate, principalmente, dall’art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001 e le c.d. (“Authority”), come la Banca d’Italia, la Consob, ecc.

Agevolazioni contributive

Ma, quali sono le agevolazioni previste in favore dei datori di lavoro?
Si tratta di un esonero contributivo pari al 100% della contribuzione a carico del datore di lavoro per un massimo di sei mesi, nel limite di importo pari a 6.000 euro su base annua, riparametrato ed applicato su base mensile, ferma restando l’aliquota di compito delle prestazioni pensionistiche. Da tali importi sono esclusi i premi ed i contributi dovuti all’INAIL e, seguendo le indicazioni espresse dall’INPS in circostanze analoghe (che andranno confermate dall’Istituto), anche la c.d. contribuzione minore, per cui questa dovrebbe essere l’elencazione completa della contribuzione che va corrisposta:
· I premi ed i contributi INAIL;
· Il contributo, ove dovuto, al Fondo per l’erogazione ai lavoratori del settore privato dei trattamenti di fine rapporto ex art. 2120 c.c. (art. 1, comma 755 della legge n. 296/2006);
· Il contributo, ove dovuto, ai fondi bilaterali, al FIS ed ai Fondi delle Province Autonome di Trento e Bolzano, previsti dal D.L.vo n. 148/2015;
· Il contributo dello 0,30% in favore dei Fondi interprofessionali per la Formazione continua ex art. 118 della legge n. 388/2000;
· Il contributo, ove dovuto, per il Fondo del settore del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali;
· Le contribuzioni non previdenziali concepite per apportare elementi di solidarietà alle gestioni previdenziali di riferimento come ricordato dalla circolare INPS n. 40/2018.
Per quel che concerne la riparametrazione mensile dello sgravio contributivo ritengo opportuno attendere le determinazioni dell’Istituto che, a mio avviso, non potranno che rifarsi ai criteri indicati, ad esempio, dalla circolare n. 133/2020.
L’erogazione della agevolazioni resta sottoposta al rispetto sia dell’art. 1, comma 1175, della legge n. 296/2006 che dell’art. 31 del D.L.vo n. 150/2015. Ciò significa:
· Regolarità contributiva;
· Rispetto degli obblighi di legge ed assenza di sanzioni per gravi violazioni in materia di lavoro e legislazione sociale (sono quelle riportate nell’allegato al D.M. sul DURC);
· Rispetto degli accordi e contratti collettivi sottoscritti delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e, se esistenti territoriali od aziendali;
· Rispetto di obblighi preesistenti stabiliti dalla legge o dalla contrattazione collettiva (ad esempio, assunzione di personale nel settore delle pulizie dopo un cambio di appalto, secondo la previsione dell’art. 4 del CCNL multiservizi). Andrà chiarito, con circolare, come ha fatto la n. 56/2021 per le assunzioni ex lege n. 178/2020, se lo sgravio contributivo possa avvenire per una assunzione a tempo indeterminato avvenuta in ottemperanza ad un diritto di precedenza espresso ex art. 24 del D.L.vo n. 81/2015 o in esecuzione dell’art. 47 della legge n. 428/1990, laddove l’assunzione a tempo indeterminato riguardi personale che, in un cambio di proprietà con cessione di azienda, non sia passato, immediatamente, alle dipendenza del cessionario;
· Rispetto di diritti di precedenza: lo sgravio contributivo non spetta se risultano violati diritti in essere in capo ai lavoratori come, ad esempio, quelli esternati per iscritto ex art. 24 del D.L.vo n. 81/2015, dopo la conclusione di un contratto a tempo determinato, o quelli in favore dei lavoratori licenziati previsto dall’art. 15, comma 6, della legge n. 264/1949, o quello ex art. 47 della legge n. 428/1990 in caso di cessione di azienda o ramo di essa in favore di chi non è transitato subito alle dipendenze del nuovo datore;
· Rispetto dei lavoratori posti in integrazione salariale, a meno che l’assunzione non sia di livello diverso rispetto al lavoratore assunto con l’incentivazione o riguardi un’altra unità produttiva. Su questo punto, l’INPS sposa la tesi già espressa nella circolare n. 133/2020 (punto 5), per cui, nell’attuale emergenza occupazionale, l’ammortizzatore sociale COVID-19 è stato assimilato alle integrazioni salariali derivanti da “evento non oggettivamente evitabile” e questo non esclude possibilità di fruire dello sgravio contributivo legato a queste nuove assunzioni;
· Rispetto della disposizione che vieta l’assunzione di lavoratori licenziati nei 6 mesi antecedenti da datori di lavoro in rapporti di collegamento o controllo o da aziende facenti capo alla stessa proprietà anche per interposta persona.
Ulteriori vincoli vengono previsti dalla norma laddove esclude dal beneficio i datori di lavoro che:
· Abbiano proceduto a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo ex art. 3 della legge n. 604/1966, nei sei mesi antecedenti, nella stessa unità produttiva: qui la disposizione parla di licenziamenti “tout court”, senza specificare un riferimento alle stesse mansioni o livello. Ovviamente, non rientrano nel “blocco” le dimissioni e le risoluzioni consensuali, avvenute, magari, a seguito, di accordi collettivi stipulati, da ultimo, secondo le indicazioni fornite dal D.L. n. 41/2011 convertito, con modificazioni, nella legge n. 69, ma anche i licenziamenti dovuti a giusta causa o giustificato motivo soggettivo;
· Abbiano proceduto, sempre nel semestre antecedente e sempre con riferimento alla unità produttiva a licenziamenti collettivi secondo la previsione contenuta nella legge n. 223/1991. Anche in questo caso valgono, a mio avviso, le puntualizzazioni appena espresse sub a), relativamente al fatto che tali recessi hanno una natura economica;
· Abbiano intimato il licenziamento durante o al termine del periodo di inserimento: tale fatto comporta la revoca ed il seguente recupero dei benefici già fruiti, sia pure in modo parziale;
· Abbiano proceduto nei 6 mesi successivi alla assunzione di lavoratori con contratto di rioccupazione, al licenziamento individuale o collettivo di dipendenti, occupati nella stessa unità produttiva, inquadrati nello stesso livello della categoria legale di inquadramento: anche qui, revoca dello sgravo e recupero del fruito.
Come ben si può arguire dalla conoscenza di disposizioni precedenti, si tratta di vincoli (art. 1, comma 12) che sono già presenti nel nostro ordinamento come, da ultimo, per le assunzioni degli “under36” previste dalla legge n. 178/2020.

Revoca e cumulabilità del beneficio contributivo

L’articolato prosegue, poi, con due notazioni importanti: la prima concerne la revoca del beneficio nei confronti del datore di lavoro inottemperante che non ha effetti ai fini del godimento per il periodo residuo in favore di altri datori che assumono con il contratto di rioccupazione (ciò significa che resta confermato il principio del “godimento residuo” alla base di altre agevolazioni già previste nel nostro ordinamento come, ad esempio, l’esonero triennale già previsto dalla legge n. 190/2015).
La seconda riguarda le dimissioni del lavoratore: esse non incidono sul beneficio in favore del datore che viene, comunque, riconosciuto per il periodo di effettiva durata del rapporto. La norma parla, unicamente, di dimissioni mentre non dice nulla circa l’ipotesi della risoluzione consensuale. Si ha motivo di ritenere, stando al dettato letterale, che l’agevolazione possa essere revocata, stante la presenza di una volontà datoriale, seppure analoga a quella del dipendente, finalizzata alla conclusione “ante tempus” del contratto.
Altra notazione importante riguarda la cumulabilità dell’incentivo: essa, per il periodo di durata del rapporto dopo il semestre agevolato, è prevista calcolando gli esoneri contributivi previsti a legislazione vigente previsti da altre agevolazioni (e qui, occorre far riferimento a ciò che affermano le disposizioni ai singoli benefici richiamati), fermo restando che in caso di cessazione del rapporto al termine del semestre, lo sgravio contributivo viene recuperato.

Autorizzazione della Commission Europea

La piena operatività della disposizione è soggetta all’autorizzazione della Commission Europea ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato dell’Unione.
Sulla scorta della crisi pandemica in corso in tutta Europa, fino al prossimo 31 dicembre, vengono riconosciuti come compatibili con le norme comunitarie gli Aiuti di Stato che:
· Siano di importo non superiore a 1.800.000 euro per impresa (valutata anche come “impresa unica”, secondo i canoni previsti dal Regolamento UE n. 1407/2013), al lordo di qualsiasi imposta od altro onere, o non superiore a 270.000 euro nei settori della pesca e dell’acquacoltura;
· Siano concessi ad imprese che non fossero già in difficoltà alla data del 31 dicembre 2019. La identificazione di tali imprese deve avvenire nel rispetto della previsione contenuta al punto 18 dell’art. 2 del Regolamento n. 651/2014 che ipotizza varie ipotesi;
· Siano concessi a micro imprese (con un organico fino a 9 unità e con un fatturato o bilancio uguale o inferiore a 2 milioni di euro) o piccole imprese (aziende con meno di 50 dipendenti e con un fatturato o bilancio non superiore a 10 milioni di euro) che, pur in difficoltà alla data del 31 dicembre 2019, non sono soggette a procedure concorsuali per insolvenza e che non hanno ricevuto aiuti per il salvataggio o la ristrutturazione.
L’INPS provvederà, come al solito, a registrare l’importo della agevolazione sul Registro Nazionale per gli Aiuti di Stato.
Credit by:
IPSOA Quotidiano
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