Flessibilità del principio dell’equo compenso nella Pubblica Amministrazione: per il TAR Lazio il compenso del professionista va determinato tenendo conto dell’attività svolta ma anche dei limiti alla spesa pubblica
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- On Settembre 3, 2021
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Equo compenso flessibile per la pubblica amministrazione. La PA deve sì applicare la disposizione introdotta alla fine del 2017 che garantisce ai professionisti una tutela sull’entità dei compensi percepiti, ma il concetto deve «ancorarsi a parametri di maggiore flessibilità», tenendo infatti conto di volta in volta delle esigenze di contenimento della spesa pubblica e della natura delle attività da svolgere da parte del professionista.
E’ la conclusione a cui è giunto il Tar Lazio nella sentenza n. 09404/2021 del 20 luglio pubblicata lo scorso 27 agosto (qui in allegato – TAR Lazio n. 9404-2021 (equo compenso e bando p.a.) (1)).
Il tribunale ha respinto il ricorso proposto dall’ordine degli avvocati di Roma (e ad adiuvandum dall’Associazione italiana giovani avvocati) contro un avviso pubblicato dall’Inps che, a dire dei ricorrenti, non rispettava la norma dell’equo compenso (introdotta in Italia dalla legge di bilancio 2018, legge 205/2017).
Secondo il Coa di Roma e l’Aiga i compensi previsti non rispettavano la disciplina dell’equo compenso in quanto non linea con i parametri fissati dal dm 55 del 2014. La norma dispone, infatti, una tutela per il professionista nei confronti dei cosiddetti «clienti forti», individuati dal comma 1 dell’art 19 quaterdecies della legge di bilancio 2018 in banche, assicurazioni e grandi imprese. Viene stabilito che il compenso debba essere «proporzionato alla quantità e alla qualità della prestazione», nonché «conforme ai parametri ministeriali». La norma escludeva quindi, in principio, la pubblica amministrazione dai soggetti che avevano l’obbligo di rispettare l’equo compenso. Durante il passaggio in commissione della manovra, è stato introdotto il successivo comma 3 che recita: «la pa, nei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti…». Da qui la convinzione di categorie e associazioni professionali che la norma fosse applicabile in tutto e per tutto alla pa così come viene applicata nei confronti dei clienti forti. Secondo il Tar Lazio, invece, le cose non stanno così. Per la pubblica amministrazione «trova sì applicazione il concetto di equo compenso, ma non entro i rigidi e ristretti parametri di cui al dm 55/2014. Il concetto di equo compenso, per quanto riguarda la pa, deve ancorarsi a parametri di maggiore flessibilità legati: da un lato, ad esigenze di contenimento della spesa pubblica; dall’altro lato, alla natura ed alla complessità delle attività da svolgere in concreto». Per quanto riguarda il contenimento della spesa pubblica, la sentenza cita la clausola di invarianza finanziaria prevista dal comma 4 dell’articolo 19 quaterdecies. In merito alla seconda motivazione, ovvero la natura delle attività da svolgere da parte del professionista, il fatto che il lavoro riguardi solo attività di domiciliazione o sostituzione rende congrui i compensi definiti dall’Inps nel proprio avviso. Con questa decisione, quindi, il Tar Lazio stabilisce che la pubblica amministrazione non ha l’obbligo del rispetto dell’equo compenso a prescindere. Anzi, la sua applicazione deve essere subordinata ai vincoli di spesa e alla natura dell’attività svolta, quindi comunque valutata caso per caso.
Assicurare l’applicazione del principio anche alla pa, oltre che a tutti i clienti non solo quelli forti, è l’obiettivo di vari disegni di legge presentati dal 2017 a oggi per implementare la norma. Uno di questi (atto Camera 3179, prima firmataria Giorgia Meloni) era arrivato anche all’esame dell’aula in estate, per poi essere bloccato vista la necessità ravvisata di modificare il testo.
Credit by:
Michele Damiani – Milano Finanza online
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