Welfare aziendale e DaD: un “via libera” che deve andare oltre la pandemia
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- On Giugno 11, 2021
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Le spese per la strumentazione tecnologica necessaria allo svolgimento della Didattica a Distanza (DAD) possono essere sostenute tramite il welfare aziendale. Con la Risoluzione del 27 maggio 2021, n. 37 l’Agenzia delle Entrate ha ricompreso dispositivi quali pc, laptop e tablet utilizzati per la formazione a distanza (solo in questo caso!) tra le opere con finalità di educazione e istruzione di cui alle lett. f e f-bis, art. 51 c. 2 del TUIR.
Nel concreto, il lavoratore destinatario di un piano di welfare aziendale potrà scegliere di usufruire del credito welfare a lui assegnato per l’acquisto di tali dispositivi ad uso proprio o dei familiari, di cui all’art. 12 del TUIR, se resi necessari per la frequenza di un corso scolastico o universitario. A tal proposito, è necessario, che lo svolgimento delle lezioni a distanza sia attestato da apposita documentazione, rilasciata dall’ente formativo. A queste condizioni, il valore di tali beni non concorrerà alla formazione del reddito da lavoro dipendente e sarà interamente deducibile dal reddito di impresa (art. 95 del TUIR) qualora l’impegno derivi da fonte obbligatoria (accordo, contratto o regolamento). Il beneficio è riconosciuto sia nel caso in cui il lavoratore chieda il rimborso delle spese sostenute («somme» ex lettera f-bis) dell’art. 51 del TUIR: in questo caso il beneficiario deve essere necessariamente un familiare); sia nel caso che si proceda tramite l’acquisto diretto da parte dell’azienda, anche mediante voucher, a favore del lavoratore o di un suo familiare.
La novità non è certo di poco conto se si considera che il Rapporto BES 2020 – Istat segnalava come l’8% dei circa 8 milioni di studenti (Dato Miur-Indire) delle scuole di ogni ordine e grado fosse rimasto escluso da una qualsiasi forma di didattica a distanza (tra gli alunni con disabilità la percentuale sale al 23%) in ragione delle note disuguaglianze reddituali tra le famiglie italiane. In sintesi, molti alunni non hanno potuto seguire a distanza i propri corsi per l’indisponibilità di strumentazione adeguata: pc o tablet, linea internet. Si tratta di disparità preesistenti al periodo pandemico, ma che la scuola a distanza ha contribuito a rendere più evidenti e laceranti socialmente.
Sul punto, anche il Rapporto 2020 – Think Tank “Welfare, Italia” ha confermato come, stando a quanto riportato dall’OECD, sarebbero proprio gli studenti più svantaggiati dal punto di vista socio-economico, ovvero non dotati degli strumenti necessari, a subire maggiormente l’impatto negativo dello stop delle lezioni in presenza, col rischio di un ampliamento delle disuguaglianze educative: «se oltre il 95% degli studenti che frequentano scuole avvantaggiate – ovvero con studenti con un elevato status socioeconomico – ha accesso a un computer a casa per il lavoro scolastico, gli studenti delle scuole svantaggiate si ferma poco al di sopra dell’81%. In Italia, se i primi superano il 95%, gli studenti delle scuole più svantaggiate con a disposizione un pc a casa per il lavoro scolastico non raggiungono l’83%. In questo quadro, inoltre, soltanto il 6,1% dei ragazzi italiani tra 6 e 17 anni vive in una famiglia dove è disponibile almeno un pc per componente» (p. 108).
Come più volte segnalato da AIWA, l’impossibilità, fino ad oggi abbastanza pacifica interpretativamente, di ricomprendere pc, laptop e tablet nell’ambito del welfare aziendale, strideva con la finalità evidentemente sociale di una misura di questo genere in periodo pandemico. Proprio i mesi più difficili della crisi da Covid-19 avevano mostrato agli operatori del welfare quanto fosse urgente l’acquisto di dispositivi tecnologici per le molte famiglie italiane che hanno accesso ad una qualche forma di welfare aziendale: a questo scopo sono stati utilizzati quasi la metà dei voucher digitali multi-spesa con soglia economica ampliata a 516,46 euro in ottemperanza al c.d. Decreto Agosto del 2020 (soglia recentemente confermata valida dal Legislatore anche per il 2021). Ugualmente, le indagini a campione e i dati di vendita hanno registrato una inedita diffusione di questi voucher per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale (mascherine e guanti) e prodotti per l’igienizzazione del corpo e della casa (sapone, alcool e detergenti). Si tratta, anche in questo caso, di beni e opere non ricompresi nel comma 2 dell’articolo 51 del TUIR. Per questi prodotti non è arrivata alcuna copertura interpretativa, che invece ha interessato l’hardware tecnologico (il software scolastico era già permesso).
È pur vero che, al di fuori della Didattica a Distanza, tali beni continuano a non rientrare nelle misure di welfare agevolate dalla normativa, poiché non è assicurabile la funzione sociale. È tuttavia innegabile che tali strumenti abbiano una funzione sempre più rilevante anche nello svolgimento ordinario dell’anno scolastico, anche quando in presenza. Questa osservazione, piuttosto banale, inevitabilmente genera un dubbio sulla tenuta della Risoluzione 37/2021 nei prossimi anni scolastici e universitari. Qualora si sostenesse che tale interpretazione è da applicarsi rigidamente alla sola DaD, inevitabilmente bisognerebbe evidenziare l’intempestività della risposta all’interpello, giunta a scuola quasi terminata e nel momento di affievolimento della emergenza pandemica. Il richiamo esplicito ai decreti emergenziali e la sottolineatura a riguardo del fatto «che il regime di non concorrenza al reddito di lavoro dipendente ai sensi della predetta disposizione troverà applicazione sempreché il dipendente produca idonea documentazione rilasciata dall’Istituto scolastico o dall’Università che attesti lo svolgimento delle lezioni attraverso la DaD» hanno convinto molti osservatori a sposare una linea prudenziale.
Linea che risulta convincente attestandosi alla lettera; meno fondata se si comprende la ratio del chiarimento. Ciò che correttamente viene evidenziato dalla Agenzia non è tanto la correlazione tra il tablet e la DaD, quanto la necessità di ricomprendere tra i beni e servizi (f) e le somme (f-bis) tutto quanto necessario per adempiere le finalità di «educazione» e «istruzione». Allorquando la scuola certificasse che il dispositivo tecnologico è necessario per svolgere i compiti assegnati individualmente, come sarebbe possibile per l’Agenzia non accettare l’uso del welfare aziendale contestando l’estraneità di questo obbligo rispetto alla “DaD pandemica”? È un nodo che bisognerà sciogliere nei prossimi mesi.
Occorre osservare che non è la prima volta che tramite le interpretazioni offerte dall’Agenzia si è operato un ampliamento delle prestazioni riconducibili alle misure di welfare aziendale ex art. 51 del TUIR) alla luce di nuovi bisogni generati dall’emergenza sanitaria. Sul punto, va ricordato l’intervento della Circolare 11/E 2020 sulle c.d. Polizze Covid che ha ricompreso nel disposto della lett. f-quater anche il versamento, da parte dei datori di lavoro, dei premi per la stipula di polizze a copertura del rischio di contrarre il virus, in favore della generalità (o categorie) di dipendenti.
Più in generale, in questo periodo di crisi la Agenzia ha mostrato una certa elasticità interpretativa, confermata anche dalla Risposta n. 270/2021, che ha ammesso la possibilità di applicare dei correttivi successivi alla stipula dell’accordo sul premio di risultato in ragione dei mesi di chiusura forzata per alcune attività. Considerato che molti di questi accordi (circa il 60%) prevedono anche la possibilità che il premio possa essere convertito in welfare aziendale su scelta del lavoratore, questa flessibilità interpretativa sui parametri per l’erogazione del pdr agevolato si è riflettuta positivamente sulla possibilità dei lavoratori di usufruire di misure di welfare.
La pandemia ha quindi rappresentato un acceleratore di alcuni processi, tra cui lo svolgimento di attività lavorative e formative a distanza, riconfigurando alcuni bisogni e amplificando alcune esigenze, che in precedenza erano ritenute ancora marginali. Da questo punto di vista, molto si è fatto nell’ambito della contrattazione collettiva (si veda il recente Rapporto ADAPT). Come molto spesso accade, le buone pratiche portate avanti in azienda in materia di welfare e organizzazione del lavoro (si veda S. Spattini, M. Dalla Sega, Ruolo della contrattazione collettiva nel ricorso al welfare aziendale per fronteggiare le conseguenze dell’emergenza Covid-19, 2020) hanno stimolato l’attenzione del legislatore, attivandone la competenza legislativa, e degli enti amministrativi, attivandone le facoltà interpretative.
Il welfare aziendale è da tempo oggetto soprattutto di questa seconda tipologia di intervento. Circolari, risoluzioni e interpelli vanno copiosi ad affiancarsi agli interventi di legge stratificatisi dal 2016 ad oggi. Il risultato, nel complessivo, è di sicuro ampliamento e rafforzamento dell’istituto. Ora sarebbe bene mettere in sicurezza la costruzione, consolidando legislativamente le prassi già accettate dal mercato e chiarendo senza equivoci le situazioni ancora dubbie. Il costante e apprezzato incedere del welfare aziendale merita di essere reso sempre più deciso con la approvazione di quel Testo Unico che da tempo è richiesto dagli addetti ai lavori.
Credit by:
Maria Sole Ferrieri Caputi – ADAPT Junior Fellow
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