Scatta il licenziamento per il post su Facebook contro l’azienda
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- On Ottobre 15, 2021
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Licenziato dipendente per post offensivo su Facebook
La vicenda processuale
Un’azienda dispone il licenziamento di un dipendente, che lo impugna davanti al Tribunale, che però da ragione alla datrice.
Il lavoratore si oppone tempestivamente alla decisione. La Corte di Appello però conferma le conclusioni del giudice di primo grado dando rilievo al contenuto fortemente offensivo e sprezzante di tre e-mail e di un messaggio pubblicato sul profilo social del dipendente, tutti diretti ai vertici dell’azienda e dei suoi superiori. Per la Corte da questi contenuti emerge la grave insubordinazione del dipendente, che giustifica il licenziamento per giusta causa. Con la sua condotta il lavoratore ha infatti eliso definitivamente il rapporto fiduciario necessario per poter proseguire il rapporto di lavoro, soprattutto per il ruolo che lo stesso riveste all’interno dell’azienda. Trattasi difatti in particolare di un account manager addetto alla gestione della comunicazione pubblicitaria nazionale, che si occupa anche di eventi e promozione.
Diffusività del post a terzi e prova del nocumento all’azienda
Il dipendente nel ricorrere in Cassazione solleva i motivi di ricorso che si vanno a illustrare.
- Con il primo lamenta il mancato esame da parte della Corte di elementi decisivi per la decisione rappresentati dal contesto lavorativo e dalla evoluzione dei rapporti aziendali che hanno portato alle comunicazioni email e alla pubblicazione del post.
- Con il secondo si duole per l’acquisizione illegittima del post dalla sua pagina personale perché destinata ai soli “amici” e quindi riservata, condizione che rende la pubblicazione incompatibile con la denigrazione o diffamazione, tanto più che l’azienda non è riuscita a dimostrare la diffusione del contenuto a terzi.
- Con il terzo evidenzia l’errore della Corte nel qualificare la sua condotta come “grave insubordinazione ai superiori”.
- Con il quarto sottolinea invece il mancato accertamento da parte della Corte del “grave nocumento morale o materiale” arrecato all’azienda dalla sua insubordinazione, che la Corte ha ritenuto insito nella sua condotta.
Insubordinazione offendere i superiori, non occorre accertare il nocumento
La Cassazione adita rigetta il ricorso, così motivando la sua decisione.
Il primo motivo del ricorso per gli Ermellini è inammissibile perché la sentenza è stata argomentata in modo congruo e perché la conclusione è rafforzata dalla doppia conforme.
Infondato invece il secondo motivo in quanto il profilo del lavoratore sul social “è idoneo a determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone.”
Infondato anche il terzo motivo perché il concetto di insubordinazione, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non si riferisce solo al rifiuto del dipendente di adempiere alle disposizioni dei suoi superiori, ma a qualsiasi comportamento in grado di pregiudicare sia l’esecuzione che il corretto svolgimento delle disposizioni suddette nel quadro dell’organizzazione.
Come ha già avuto modo di precisare la Cassazione nella decisione n. 9635/2016 “la critica rivolta ai superiori con modalità esorbitanti dall’obbligo di correttezza formale dei toni e dei contenuti, oltre a contravvenire alle esigenze di tutela della persona umana riconosciute dall’art. 2 della Cost., può essere di per sé suscettibile di arrecare pregiudizio all’organizzazione aziendale, dal momento che l’efficienza di quest’ultima riposa sull’autorevolezza di cui godono i suoi dirigenti e quadri intermedi ed essa risente un indubbio pregiudizio allorché il lavoratore, con toni ingiuriosi, attribuisca loro qualità manifestamente disonorevoli.”
Infondato infine anche il quarto motivo in quanto l’accertamento del grave nocumento morale o materiale non è necessario quando, come nel caso della condotta di grave insubordinazione ai superiori, esso è già tipizzato nella condotta.
Credit by:
Annamaria Villafrate – Studio Cataldi
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