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L’Arbitrato

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  • On Settembre 17, 2018
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Di Laura Sicari, Avvocato.


L’Arbitrato costituisce uno degli strumenti di definizione alternativa delle controversie previsti dal nostro ordinamento e disciplinato agli articoli 806 e seguenti del codice di procedura civile.

Nel rispetto del principio di autonomia negoziale, le parti possono devolvere ad arbitri la decisione di una controversia purchè questa non abbia ad oggetto diritti indisponibili ed il patto risulti da atto scritto a pena di nullità.

In particolare, le parti possono decidere di stipulare un’apposita convenzione d’arbitrato o stabilire, all’interno di un contratto o di altro atto separato, che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri; in tale ultimo caso la pattuizione prende il nome di “clausola compromissoria”.

La convenzione d’arbitrato deve contenere la nomina di uno o più arbitri (sempre in numero dispari) o indicare le modalità con cui questi verranno nominati: in caso di carenza di tali indicazioni, provvederà il presidente del tribunale nel cui circondario ha sede l’arbitrato o, in caso di mancata indicazione della sede, del luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato.

Una volta accettata la nomina per iscritto, gli arbitri dovranno regolare lo svolgimento del giudizio osservando le regole già predeterminate dalle parti (nella convenzione d’arbitrato o in altro atto scritto anteriore).

In caso di omissione totale o parziale di tali regole, gli arbitri potranno agire nel modo che ritengono più opportuno, purchè venga garantito il rispetto del principio del contraddittorio, concedendo alle parti ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa.

La decisione assunta all’esito del procedimento viene denominata “lodo arbitrale” e deve essere pronunciata, salvo diversa determinazione delle parti, entro il termine di 240 giorni dall’accettazione della nomina.

Il nostro ordinamento individua due diverse tipologie di arbitrato a seconda dell’efficacia del lodo: rituale ed irrituale.

Nel primo caso, l’art. 824 bis c.p.c. attribuisce al lodo efficacia della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria e, quindi, l’accertamento ivi contenuto fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa.

L’equiparazione del lodo alla sentenza, infatti, rende idoneo il primo a formare il giudicato formale e sostanziale sulle statuizioni ivi contenute, oltrechè ad essere suscettibile di esecuzione forzata.

Gli articoli 827 c.p.c. e seguenti prevedono anche la possibilità di impugnare il lodo rituale per nullità, per revocazione e per opposizione di terzo.

Le parti possono anche decidere di derogare all’art. 824 bis c.p.c. ed attribuire al lodo efficacia di determinazione contrattuale.

In tal caso si parla di “arbitrato irrituale” (art. 808 ter c.p.c.) ed il relativo lodo può essere impugnato per annullabilità solo se la convenzione è invalida, se gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni esorbitanti i limiti previsti, non si sono attenuti alle regole imposte dalla convenzione come condizioni di validità del lodo o versavano in condizioni di incapacità, nonchè per irregolarità formali della nomina o per violazione del principio del contraddittorio.

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