La Cassazione ribadisce quali sono i requisiti per il riconoscimento del diritto al pensionamento dell’Avvocato.
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- On Marzo 2, 2016
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La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza del 2 marzo 2016 n. 4092, ha ribadito quali sono i requisiti necessari per esercitare il diritto dell’avvocato a percepire la pensione, nonché i poteri che la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense deve rispettare nel valutare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di tale diritto.
Nella sentenza in commento, i giudici hanno ricordato che, ai sensi della legge 20 settembre 1980, n. 576, il presupposto per l’attribuzione della pensione di vecchiaia o di anzianità è rappresentato da un periodo minimo di effettiva iscrizione e contribuzione, integrato dall’esercizio continuativo della professione forense e che, l’Ente previdenziale è tenuto, ex lege, a verificare l’esistenza del requisito del legittimo esercizio della professione.
L’art. 3, 1° comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576, stabilisce, in particolare, che la pensione di anzianità è corrisposta a coloro che abbiano compiuto almeno trentacinque anni di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa Forense. Tale disposizione, secondo i giudici di legittimità, dev’essere interpretata nel senso che l’iscrizione predetta può ritenersi effettiva quando è accompagnata dall’esercizio dell’attività professionale e, di conseguenza, dall’iscrizione all’albo professionale, con la conseguenza che tale effettività dell’iscrizione condiziona l’efficacia della relativa contribuzione; pertanto, in mancanza di tale effettività, il versamento dei contributi non è utile ai fini del compimento del trentacinquennio di contribuzione ed attribuisce solo il diritto ad ottenere il rimborso delle somme versate.
La Corte ha rilevato, altresì, che la Cassa Forense è munita di un autonomo potere di accertamento dei requisiti richiesti per l’iscrizione ad essa e, qualora ne constati l’assenza, può procedere all’annullamento della posizione contributiva dell’iscritto, senza incidere sul suo status professionale, derivante dall’iscrizione all’albo.
Sulla base di tale premessa, la Suprema Corte ha ribadito entro quali limiti temporali la Cassa Forense può verificare l’effettività dell’esercizio della professione, confermando il principio secondo cui la sussistenza del requisito della continuità nell’esercizio della professione non può essere contestata dalla Cassa per i periodi anteriori al quinquennio precedente la domanda di pensione di anzianità, quando non sia stata esercitata la facoltà di revisione prevista dall’art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 319, e l’interessato abbia adempiuto agli obblighi di comunicazione previsti dagli artt. 17 e 23 della citata legge 20 settembre 1980, n. 576.
Com’è noto, infatti, tali disposizioni pongono a carico dell’interessato l’obbligo di comunicare annualmente all’ente previdenziale l’ammontare del reddito professionale dichiarato ai fini dell’I.R.P.E.F. per l’anno precedente, nonché il volume complessivo di affari dichiarato ai fini dell’I.V.A.
Dunque, l’accertamento della continuità dell’esercizio professionale risulta affidato ad una verifica da compiere sulla base di parametri stabiliti da determinazioni del comitato dei delegati della Cassa, a cui la legge riconosce, oltre al potere di accertamento e controllo, anche una potestà regolamentare.
Nella fattispecie, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dall’Avvocato, confermando l’orientamento della Sezione Lavoro della Corte d’Appello di Napoli, la quale aveva rilevato che l’Avvocato non aveva adempiuto all’obbligo di comunicazione periodica nei termini e nei contenuti prescritti dall’art. 17 della legge 20 settembre 1980, n. 576.
A cura di SERENA URZI’.
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