Nei confronti del primo cittadino di un noto comune del circondario, a seguito dello scioglimento del Consiglio Comunale, è stato azionato il procedimento ai sensi dell’art. 143, comma 11, del D.lgs. n. 267/2000 (c.d. Tuel), ai fini della dichiarazione di incandidabilità.
Adottato il provvedimento di scioglimento dell’amministrazione comunale, la dichiarazione d’incandidabilità degli amministratori non ne costituisce conseguenza automatica, ma ha carattere autonomo, essendo fondata su presupposti diversi, e segnatamente sull’accertamento della colpa degli amministratori per la cattiva gestione della cosa pubblica.
E cioè, il provvedimento di scioglimento richiede, ai sensi dell’art. 143 citato, comma 1 che emergano concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori, ovvero forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare le conseguenze normativamente previste.
Il successivo comma 11 della medesima disposizione, prevede la sanzione dell’incandidabilità degli “amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento”. Occorre cioè che i concreti, univoci e rilevanti elementi siano addebitabili all’amministratore.
Non c’è dubbio, che per l’irrogazione della sanzione di incandidabilità occorre la configurabilità di una personale individuata responsabilità nella realizzazione delle condotte tali da determinare lo scioglimento previsto dal citato art. 143 comma 1.
In buona sostanza, per la “configurabilità di una personale individuata responsabilità” devono sussistere “concreti, univoci e rilevanti elementi” della “colpa dello stesso amministratore” nell’avere determinato o concorso in maniera significativa a determinare “una situazione di cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze esterne e asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali”.
Posta la superiore ricostruzione, il nostro Studio è riuscito a provare che nel caso del primo cittadino del noto comune etneo, non ricorrono i presupposti di configurabilità di una personale individuata responsabilità, e, conseguentemente, l’insussistenza degli elementi di cui all’art. 143, comma 11, del D.lgs. n. 267/200.
In considerazione di ciò, il Sindaco è stato dichiarato soggetto candidabile.
Diritto Civile,
Un’azienda ospedaliera universitaria difesa dal nostro studio ha ottenuto sentenza favorevole in un giudizio per un risarcimento intentato dall’erede universale di un uomo che aveva perso la vita a seguito di un incidente, occorsogli nelle scale del cortile del nosocomio.
Secondo la tesi dei legali della donna l'uomo sarebbe caduto a terra a causa dei gradini danneggiati e privi dei presidi antiscivolo della scalinata.
Il nostro staff di avvocati, dopo aver studiato accuratamente la documentazione e la normativa di settore, ha dato piena dimostrazione del caso fortuito integrato dalla condotta colposa esclusiva dell’uomo. Infatti, ai fini della prova del nesso causale, incombe sull'attore dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno (cfr. Cass. civ. 2660/2013) e che lo stesso doveva tenere un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio considerato che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (cfr. Cass. Civ. 11023/2018).
Nel caso in specie dalla documentazione analizzata si è palesato come le condizioni della scalinata non potessero determinare l’evento poiché i gradini non presentavano rotture, erano dotati di dispositivi antiscivolo ed erano privi di altre insidie.
Inoltre dai documenti medici prodotti si evinceva che l’uomo, al momento della caduta, era positivo a sostanze stupefacenti/psicotrope.
Il Tribunale di Catania all'esito dell'istruttoria ha dunque accolto la nostra tesi difensiva ossia che l'effetto di tali sostanze ha determinato una percezione psicofisica alterata della realtà dei luoghi, e che quindi l’uomo è caduto a causa delle peculiari condizioni psico-fisiche al momento dell’incidente, circostanza imprevedibile e assolutamente eccezionale, e quindi estranea alla sfera di custodia.
La domanda risarcitoria è dunque stata respinta e l’erede universale dell’uomo è stata condannata al rimborso, in favore dell'Azienda Ospedaliera, delle spese di lite e di mediazione.
Diritto Civile,
1Le vincitrici di una selezione interna per titoli e colloqui rivolta al personale dipendente, indetta - ai sensi e per gli effetti dell’art. 22, comma 15 D. Lgs. 75/2017 (cd. Legge Madia) - da una Azienda Sanitaria Provinciale siciliana si sono rivolte al nostro studio legale per impugnare, dinnanzi al T.A.R. Sicilia - Catania, il provvedimento con cui è stata dichiarata la loro decadenza dalla graduatoria finale di merito della procedura selettiva, pur a fronte dell’intervenuta sottoscrizione dei contratti individuali di lavoro e della relativa immissione in ruolo nel profilo professionale oggetto di selezione.
Il nostro team di avvocati, a seguito di un approfondito studio della normativa di settore, ha impugnato la predetta deliberazione lamentando – fra l’altro - la violazione dei principi in tema di decadenza predicati dall'art. 127, comma 1, lettera d), del d.p.r. n. 3/57 nonché dei principi in tema di autotutela amministrativa ex art. 21 nonies l. n. 241/90 e insistendo per l’accertamento e la declaratoria del diritto delle ricorrenti ad essere reimmesse in ruolo nel profilo professionale oggetto di selezione a far data dalla sottoscrizione del relativo contratto di lavoro.
Il T.A.R. Sicilia – Catania, accogliendo integralmente il ricorso proposto dal nostro Studio, ha rigettato la preliminare eccezione di difetto di giurisdizione del giudice adito in favore di quello ordinario sollevata dall’Azienda resistente, ritenendo di non condividere l’assunto avversario secondo cui la controversia avrebbe ad oggetto una questione estranea alla fase selettiva in senso proprio, in quanto relativa ad atti adottati dopo la pubblicazione della graduatoria e, quindi, in potenza classificabili nell’ambito della gestione, in senso stretto, del rapporto di lavoro privatistico.
Il Giudice ha inteso aderire al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui le controversie in merito ai provvedimenti di decadenza, in quanto espressione della potestà pubblicistica riconosciuta alla Pubblica Amministrazione, devono farsi rientrare nella giurisdizione amministrativa.
Muovendo da tali premesse, il T.A.R. ha stabilito che “benché i provvedimenti siano stati emessi dopo l’assunzione delle ricorrenti, ciò non esclude che la domanda riguardi, in realtà, la legittimità del procedimento selettivo posto a monte della procedura, e che, pertanto, anche la controversia in esame debba farsi rientrare nell’ambito della fase strettamente selettiva e concorsuale delle questioni relative ai rapporti di pubblico impiego applicativo di cui all’art. 63 comma del d. lgs. 165/2001”.
Il Tribunale Amministrativo catanese ha altresì chiarito che “Non rileva … rispetto al riparto di giurisdizione, che le parti rivendichino il proprio “diritto” ad essere reimmesse in ruolo, in quanto la norma da ultimo richiamata riserva in materia esclusiva la materia delle selezioni concorsuali al giudice amministrativo, competente a conoscere delle relative controversie, anche quando il provvedimento sia stato temporalmente emanato in una diversa fase, che afferisca, tuttavia, a profili tipici della fase selettiva e la situazione giuridica del privato sia astrattamente qualificabile come diritto soggettivo”.
Trattandosi, in definitiva, “di provvedimenti espressione del potere di autotutela dell’Amministrazione, esercitato, a garanzia della correttezza dell’attività amministrativa, in un ambito, quello dello svolgimento dei concorsi pubblici, in relazione al quale non può dubitarsi della sussistenza della giurisdizione amministrativa”.
Diritto amministrativo,
11Il Sindaco di un comune siciliano si è rivolto al nostro studio legale per impugnare, dinnanzi al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, una sentenza con cui il T.A.R. Catania, in accoglimento del ricorso in materia elettorale formulato dal candidato sindaco avversario, ha ritenuto che durante la fase di “spoglio” si fossero verificate delle irregolarità tali da sovvertire le preferenze espresse dagli elettori.
Il nostro team di avvocati, a seguito di un approfondito studio della normativa di settore, ha impugnato la predetta sentenza lamentando, d’un canto, l’irrilevanza delle asserite “irregolarità” verificatesi durante la fase di conteggio dei voti (in particolare, difetti di verbalizzazione che in alcun modo hanno potuto inficiare lo spoglio) e, dall’altro, l’impossibilità per il giudice di prime cure di sovvertire la volontà popolare in assenza di concreti elementi circa alterazioni della sua ricostruzione da parte delle sezioni elettorali.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, accogliendo il ricorso proposto dal nostro studio, ha ribaltato l’esito del giudizio di primo grado ed ha accertato la legittimità dell’elezione a Sindaco del nostro cliente.
Le irregolarità paventate dal TAR, secondo la sentenza d’appello, erano di “carattere del tutto ipotetico, e in definitiva solo congetturale” in quanto non suffragate da indici oggettivi e riscontri esterni e, i paventati difetti di verbalizzazione, sono stati ritenuti del tutto fisiologici, dovuti sia alla inadeguata preparazione di alcuni dei componenti dei seggi sia dalla complessità della normativa in materia.
In conclusione, il Collegio di seconde cure ha precisato che “…ma se davvero bastassero irregolarità di tal fatta a inficiare la validità delle operazioni elettorali, pressoché qualsiasi consultazione sarebbe condannata in partenza al serio rischio di una vanificazione dei suoi effetti, con le conseguenze esiziali di un enorme dispendio di tempi e mezzi, e di gravi pregiudizi per la continuità amministrativa degli enti e, soprattutto, per la credibilità dei poteri pubblici”.
Diritto amministrativo,
10L’Agente della riscossione si è rivolto al nostro studio per essere difeso in un giudizio avente ad oggetto l’avversa richiesta, da parte del contribuente, di annullamento di talune cartelle di pagamento poiché asseritamente prescritte nonché per inesistenza della pretesa creditoria, atteso che il ricorrente affermava di aver già pagato gli importi richiesti in misura ridotta, nel termine di 5 giorni dalla contestazione.
Il nostro team di avvocati è riuscito a dimostrare, d’un canto, che le cartelle impugnate non erano prescritte in ragione della sospensione dei termini di prescrizione e decadenza dei crediti contenuti nelle cartelle esattoriali (come disposto dal cd. “Decreto Cura Italia” poi prorogato dal cd. “Decreto sostegni”) e, dall’altro, il nostro cliente ha dimostrato che il pagamento effettuato dal ricorrente, contrariamente a quanto da quest’ultimo rappresentato, era intervenuto tardivamente.
Per questi motivi il Giudice adito ha rigettato il ricorso e condannato il contribuente al pagamento delle spese di lite.
Diritto tributario,
9Una Società Cooperativa che si occupa della gestione di servizi sociosanitari, educativi ed assistenziali in favore di bambini, anziani, persone disagiate e ragazzi di ogni età, si è rivolta al nostro studio per proporre opposizione avverso un avviso di addebito emesso dall’INPS e avente ad oggetto il recupero di contributi asseritamente dovuti per il mancato versamento del contributo previsto per il licenziamento dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato previsto dall’art. 2, comma 31, della legge n. 92 del 2012, come modificato dall’art. 1, comma 250, della legge n. 228 del 2012 (cd. Ticket licenziamento).
Il nostro team di avvocati ha dedotto ed allegato la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della deroga prevista dall’art. 2, comma 34, della legge n. 92 del 2012, come modificato dall’art. 1, comma 250, della legge n. 228 del 2012, poiché i licenziamenti erano stati effettuati nell’ambito di un cambio di appalto e tutti i lavoratori erano stati riassunti dalla stessa Cooperativa, allorquando questa era venuta a conoscenza dell’aggiudicazione del nuovo appalto.
L’INPS, tuttavia, ha contestato la violazione del principio di continuità occupazione, poiché il soggetto uscente e quello subentrante erano la medesima Cooperativa.
Il Tribunale di Siracusa, accogliendo le nostre difese, ha dichiarato che la fattispecie in esame rientra tra le ipotesi di esonero contributivo poiché il licenziamento era avvenuto per cambio d’appalto e i lavoratori licenziati erano stati riassunti dal soggetto subentrante nell’appalto, a nulla rilevando che fosse il medesimo soggetto uscente.
Conseguentemente, l’avviso di addebito è stato annullato.
Previdenza,
8Una società che gestisce un ambulatorio di nefrologia ed emodialisi si è rivolta al nostro studio legale poiché coinvolta, in qualità di terzo pignorato, in un giudizio di esecuzione presso terzi incardinato dinnanzi il Tribunale Civile di Catania. Per conto della nostra cliente abbiamo reso dichiarazione “negativa” del credito ai sensi dell’art. 547 del c.p.c. poiché non doveva versare alcuna somma al debitore principale. Tuttavia il creditore procedente, ritenuto che la nostra cliente avrebbe dovuto corrispondere al debitore principale un importo pari a € 500.000,00, ha avviato un parallelo giudizio dinnanzi il Tribunale di Catania in cui ha contestato la “dichiarazione di terzo” fornita dalla nostra assistita e ne ha chiesto la condanna al pagamento dell’importo sopra indicato.
In quest’ultimo procedimento il nostro team di avvocati ha rilevato, d’un canto, l’irritualità della domanda di accertamento dell’obbligo del terzo in applicazione dell’art. 549 del c.p.c. (per come da ultimo riformulato dal D.L. n. 83/2015 convertito con modificazioni con Legge n. 132/2015) e, dall’altro, ha eccepito l’assenza di prove a sostegno dell’avversa richiesta, contestualmente dimostrando le ragioni legittimanti la dichiarazione “negativa” fornita dalla nostra cliente.
Il Tribunale di Catania, accogliendo tutte le eccezioni preliminari formulate dal nostro studio, ha rigettato la domanda del creditore procedente, ha accertato che la nostra cliente ha correttamente fornito la citata “dichiarazione negativa del credito” ed ha condannato controparte al rimborso delle spese di lite.
Diritto civile dell’esecuzione,
7Una lavoratrice si è rivolta al nostro studio al fine di agire in giudizio nei confronti del proprio istituto di previdenza che, ritenendola assente dal domicilio durante una visita di controllo, le ha applicato la sanzione della trattenuta dell’indennità di malattia sino a 10 giorni. Incardinato il giudizio dinnanzi la Sezione Lavoro del Tribunale di Catania, il nostro team di avvocati ha dedotto l’illegittimità del citato provvedimento attesa la presenza della stessa presso il domicilio il giorno della visita di controllo, rilevando, altresì, l’errore cui sarebbe incorso il funzionario dell’istituto citofonando ad un campanello diverso dal proprio, sebbene contrassegnato dallo stesso cognome della ricorrente.
Il Tribunale di Catania, all’esito dell’assunzione della prova per testi, ha accolto il ricorso e dichiarato il diritto della nostra cliente ad ottenere l’intera indennità di malattia, condannando controparte al rimborso di tutte le spese di lite.
Previdenza,
6Un Istituto di Credito si è rivolto al nostro studio per essere difeso nel giudizio proposto da un proprio dipendente, responsabile di filiale, avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento irrogato all’esito di un procedimento disciplinare avviato parallelamente ad un procedimento penale.
Il lavoratore, in particolare, aveva dedotto la violazione, tra gli altri, del principio di immutabilità della contestazione.
Il nostro team di avvocati, ripercorrendo l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale (secondo cui la violazione del principio di immutabilità della contestazione non sussiste in ogni ipotesi di divergenza tra fatti posti alla base della contestazione e quelli che sorreggono il provvedimento disciplinare, ma solo nel caso in cui il quadro di riferimento sia talmente diverso da violare il diritto di difesa), ha evidenziato la legittimità del recesso operato poiché il datore di lavoro, nel corso del procedimento disciplinare, si era limitato ad allegare circostanze confermative ed ulteriori prove.
Il Tribunale adito ha accolto le difese dell’Istituto rilevando come l’oggetto della contestazione non aveva subito alcuna variazione, posto che, con il provvedimento disciplinare, il datore di lavoro si era limitato a precisare e valorizzare – sulla base delle risultanze istruttorie – la condotta contestata, con l’aggiunta di fatti c.d. secondari confermativi e di mero contorno, senza tuttavia precludere la difesa del lavoratore.
Il Tribunale, infine, ha avallato la nostra tesi secondo cui nell’ipotesi di dipendenti di istituti di credito, l’idoneità del comportamento contestato a ledere il rapporto fiduciario – rapporto che è più intenso nel settore bancario – deve essere valutata con particolare rigore ed a prescindere dalla sussistenza di un danno effettivo per il datore di lavoro.
Alla luce delle considerazioni esposte, il Tribunale di Catania ha ritenuto i fatti addebitati idonei a recidere il vincolo fiduciario e ad impedire la prosecuzione anche solo temporanea del rapporto di lavoro, sicché ha dichiarato il licenziamento legittimo.
Diritto del lavoro,
4In un giudizio dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, l'Agente della Riscossione si è rivolto al nostro studio per controdedurre alle pretese avanzate da un contribuente che ha lamentato la nullità di una intimazione di pagamento, sostenendo che la notifica sarebbe stata invalida poiché eseguita da un indirizzo PEC del Concessionario, non presente nei pubblici registri e/o elenchi.
Il nostro team di avvocati, a seguito di un approfondito studio della normativa, ha rappresentato al Collegio decidente che l’assunto del contribuente era privo di fondamento poiché, ai fini della validità della notifica, la legge impone che il solo indirizzo PEC del destinatario debba essere presente nei pubblici registri, non anche quello del notificante.
In ogni caso, il nostro cliente ha rilevato che l’asserito vizio della notifica dell'intimazione di pagamento sarebbe stato, in ogni caso, sanato da controparte a seguito dell’intervenuta impugnazione dell’atto notificatole.
In totale accoglimento delle eccezioni proposte dai nostri avvocati, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma, rigettando la domanda del contribuente, ha accolto tutte le nostre richieste ed ha condannato controparte al rimborso delle spese di lite.
Diritto tributario,
3Una società specializzata nell’installazione, gestione e manutenzione di impianti fotovoltaici si è rivolta al nostro studio per essere difesa in un giudizio in cui un proprio cliente le ha chiesto un risarcimento milionario (a titolo di danno emergente e lucro cessante) per l’asserito inadempimento della prima nell’attività di gestione e manutenzione dell’impianto fotovoltaico installato presso la seconda.
Il nostro team di avvocati, all’esito di un attento studio della normativa di settore nonché della documentazione fornita dalla nostra cliente, ha rappresentato al giudice che alcuna responsabilità poteva esserle attribuita sia perché la lamentata “non conformità” dei materiali utilizzati non era stata dimostrata durante il processo sia perché il bene, come confermato dai consulenti nominati dal giudice, è sempre stato funzionante nonché correttamente manutenuto.
Il Tribunale di Catania, all’esito dell’istruttoria e valutati tutti gli atti di causa, ha accolto tutte le nostre difese ed ha contestualmente rigettato la domanda di controparte, altresì condannandola al risarcimento di tutte le spese di lite.
Diritto civile,
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