CRISI D’IMPRESA: IL DIRITTO DELL’INSOLVENZA AL TEMPO DELLA PANDEMIA

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  • On Aprile 13, 2021
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La pandemia causata dal coronavirus, diffusasi con rapidità esponenziale in diverse nazioni del mondo, e le conseguenti misure adottate dai singoli Stati allo scopo di limitare la diffusione del contagio, sono destinate a mutare in maniera profonda le attuali condizioni di mercato, incidendo significativamente sul sistema economico-finanziario delle imprese.

In un recente studio intitolato Impact of the Coronavirus on the Italian non-financial corporates la Cerved Rating Agency, nel delineare i possibili scenari per un rientro ad una situazione di normalità e di ripresa delle attività, ha stimato per le imprese italiane una perdita di fatturato importante prevedendo, nella ipotesi peggiore, un rischio di fallimento di circa il 10,4 per cento, un tasso doppio del normale.

Tale situazione ha indotto i Paesi dell’Unione Europea, e non solo, a valutare l’adeguatezza delle attuali regole sulla insolvenza a far fronte al progressivo aggravamento soggettivo destinato a interessare la pressoché totalità delle imprese. In tale senso, in un recente documento a firma di S. Madaus ed E.B. Wessels i gli Stati membri sono stati sollecitati a effettuare interventi sulle legislazioni nazionali per adeguarle alle urgenti e immediate necessità delle imprese, primariamente riconducibili alla perdita, temporanea, di reddito derivante dalla chiusura delle attività e alla impossibilità, allo stato, di effettuare previsioni di cassa; individuando quattro differenti aree di tale intervento tra cui, oltre all’apporto di finanza interinale, la sospensione del dovere del debitore di presentare istanza per la dichiarazione di insolvenza.

In alcuni Paesi Europei, tali esigenze sono state avvertite tempestivamente prevedendo una serie di interventi emergenziali tra cui la sospensione dell’obbligo delle imprese debitrici di presentare istanza per l’avvio di una procedura concorsuale; misura adottata in considerazione del fatto che molte imprese che in condizioni normali di mercato si troverebbero in una situazione di attività economica e finanziaria sostenibile, sarebbero invece costrette, nella attuale situazione, a richiedere l’avvio di una procedura concorsuale, ragionevolmente per una liquidazione atomistica. In questo senso si è mossa la Spagna con il “Real Decreto-ley 8/2020, de 17 de marzo (de medidas urgentes extraordinarias para hacer frente al impacto económico y social del COVID-19), recentemente modificato con Real Decreto ley 11/2020, de 31 de marzo nel quale è stato previsto che, nel periodo di emergenza, il debitore insolvente non è tenuto a chiedere l’apertura di procedura concorsuale; eventuali domande presentate in quel periodo, o nei due mesi successivi alla fine dello stato di emergenza (termine di durata della sospensione), non potranno essere esaminate dai giudici (art. 43).

In questa linea si era mossa la Svizzera con ordinanza del 18 marzo 2020, benché con validità limitata sino al 4 aprile 2020 (“Verordnung über den Rechtsstillstand gemäss Artikel 62 des Bundesgesetzes über Schuldbetreibung und Konkurse più di recente la Germania, che ha sospeso l’obbligo per la impresa di presentare istanza per la dichiarazione di insolvenza fino al 30 settembre 2020, sempre che l’insolvenza sia conseguenza della pandemia Covid-19.

Il Governo italiano, facendo seguito a precedenti provvedimenti di natura economica adottati con d. l. n. 18 del 2020 con decreto legge dell’8 aprile 2020 n. 23 ha introdotto, tra le altre, importanti misure di urgenza a sostegno della liquidità e a garanzia della continuità delle imprese colpite dalla emergenza Covid-19.

Con riferimento a queste ultime misure (contenute nel Capo II del citato decreto), il legislatore ha disposto primariamente il rinvio integrale della entrata in vigore del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (‘Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza’). Tale decisione segue alla previsione contenuta del d.l. 2 marzo 2020, n. 9, che aveva differito al 15 febbraio 2021 l’operatività dell’obbligo di segnalazione che grava sugli organi di controllo interno e sui revisori contabili, oltre che sui creditori pubblici qualificati, previsti, rispettivamente, dagli articoli 14 e 15 del citato d.lgs. n. 14 del 2019. Infatti, al fine di consentire una gestione efficiente delle procedure di allerta da parte degli Organismi di composizione della crisi (destinatari della segnalazione), tale norma aveva esteso la platea dei soggetti esonerati da tale obbligo, per sei mesi, a tutte le piccole e medie imprese (complessivamente definite PMI); in linea con lo schema del decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al d.lgs. n. 14 del 2019 (approvato in esame preliminare dal Consiglio dei Ministri del 13 febbraio 2020 e attualmente all’esame delle commissioni parlamentari) che, per le imprese che non superassero i limiti di cui all’art. 2477, comma 2, lett. c), c.c. e non fossero, pertanto, tenute a dotarsi di un organo di controllo, aveva prorogato di sei mesi l’obbligo di segnalazione d’allerta all’OCRI (Organismi di composizione della crisi d’impresa) da parte sia degli organi di controllo interno e dei revisori contabili, sia dei creditori pubblici qualificati (INPS, Fisco e agenti della riscossione) [4].

Dopo aver rinviato di sei mesi la entrata in vigore delle norme del codice della crisi di impresa limitatamente agli obblighi di segnalazione della crisi (slittate al 15 febbraio 2021), il legislatore, alla luce delle gravi ripercussioni economiche e finanziarie conseguenti alla pandemia e destinate a protrarsi nel lungo periodo, ha disposto l’integrale rinvio del d.lgs. n. 14 del 2019.

La scelta di campo del legislatore di rinviare di oltre un anno l’entrata in vigore del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza è stata giustificata sulla base di tre ordini di ragioni.

Una prima ragione si riferisce proprio alle misure di allerta, introdotte nella l. delega n. 155 del 2017 prendendo l’avvio dalla disciplina francese, con l’obiettivo di incentivare l’emersione anticipata della crisi – di cui si stabiliscono gli indicatori – e agevolare le trattative tra debitore e creditori. In uno scenario economico di profonda crisi che incide sull’intero tessuto imprenditoriale, a livello globale, dette finalità risulterebbero fortemente compromesse, atteso che proprio gli indicatori della crisi «non potrebbero svolgere alcun concreto ruolo selettivo» e anzi finirebbero per generare «effetti potenzialmente dannosi».

Una seconda ragione, di ordine più generale, attiene alla filosofia di fondo che ha ispirato la legge delega n. 155 del 2017 attuata con il d.lgs. n. 14 del 2019. Se lo scopo del codice è quello di risolvere il problema della crisi di impresa prima che esso determini l’insolvenza irreversibile dell’imprenditore e l’inevitabile apertura della procedura di liquidazione; e se in questo finalismo sono dettate le regole sulla contrattazione c.d. ‘protetta’ e sul concordato preventivo (rispetto al quale è nettamente favorito quello fondato sulla continuità dell’azienda), ecco che detto scopo nel contesto economico attuale sarebbe evidentemente frustrato; con la conseguenza – si legge nella Relazione al d.l. n. 23 del 2020 – che «il Codice finirebbe per mancare incolpevolmente il proprio traguardo».

Una terza ragione è individuata, infine, dal legislatore nella esigenza che «l’attuale momento di incertezza economica venga affrontato con uno strumento comunque largamente sperimentato come la Legge Fallimentare, in modo da rassicurare tutti gli operatori circa la possibilità di ricorrere a strumenti e categorie su cui è maturata una consuetudine».

Se il rinvio delle misure di allerta disposto dal d.l. 2 marzo 2020 alle PMI si rendeva interprete della preoccupazione segnalata da più parti di consentire una gestione efficiente delle procedure di allerta da parte degli OCRI, non solo con riferimento alle imprese più piccole ma anche alle piccole e medie imprese che costituiscono il tessuto imprenditoriale italiano (tenuta anche in considerazione la incertezza interpretativa che sarebbe derivata dalla applicazione di un istituto nuovo), meno comprensibili, ad avviso di chi scrive, le ragioni del rinvio integrale del codice.

Nelle legislazioni storiche le procedure concorsuali consistevano essenzialmente nel fallimento (a cui era collegato il concordato preventivo), la quale procedura era caratterizzata in termini liquidatori e sanzionatori. Cosicché l’assoggettamento alla concorsualità coincideva con la fallibilità, e con l’insieme di conseguenze pregiudizievoli, anche personali, che colpivano il fallito.

Nel diritto della contemporaneità i profili sanzionatori sono stati sempre più affiancati da profili concernenti il recupero di una condizione di solvenza; accanto alle classiche procedure liquidatorie, sono state previste procedure di ristrutturazione dell’attività di impresa e di tutela della continuità aziendale.

Oggi, pertanto, il sistema delle procedure concorsuali si presenta anche come una risorsa per l’imprenditore insolvente e non più e semplicemente come uno spauracchio.

E su questo filo rosso si pone il codice della crisi di impresa che costituisce una importante opera sistematica della disciplina dell’insolvenza, le cui regole, pur tenendo conto della specificità delle diverse situazioni in cui l’insolvenza può manifestarsi, sono finalizzate ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dei debiti.

Una risorsa che risulta sicuramente rafforzata nel codice è rappresentata dal contratto per il superamento dell’insolvenza la cui disciplina, rispetto a quella contenuta nel R.d. n. 267 del 1942 nel testo attualmente in vigore, è stata modificata per favorire la conclusione di accordi contrattuali tra debitore, creditore e altri soggetti interessati finanziatori o potenziali acquirenti di assets) prevedendo, in particolare, per gli accordi di ristrutturazione sia agevolazioni al momento dell’accesso con l’istituto degli accordi agevolati (art. 60 CCI) sia la possibilità di estenderne gli effetti a creditori non aderenti, anche diversi da quelli finanziari, al ricorrere di determinate condizioni, tra le quali si segnala la prosecuzione dell’esercizio dell’attività imprenditoriale (c.d. ‘contratti concordati’).

Una ulteriore risorsa è rappresentata dalla liquidazione giudiziale che, pur mantenendo la struttura procedurale corrispondente a quella del ‘fallimento’ prevede la prosecuzione dell’attività di impresa non più come una eccezione, ma come regola; per cui, solo laddove dalla prosecuzione derivi un pregiudizio per i creditori il tribunale potrà disporre la cessazione (questa la formulazione del nuovo art. 211 come modificato dallo schema del decreto correttivo al d.lgs. n. 14 del 2019 approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 del 2020 che ha eliminato il riferimento ivi contenuto al grave danno quale ulteriore parametro a cui rapportare la decisione di prosecuzione dell’attività).

Così archiviata la incompatibilità tra ‘fallimento’ come strumento di selezione delle imprese efficienti sul mercato, e impresa, come pure la coincidenza tra soggetto, imprenditore, e oggetto, impresa, ecco che il subprocedimento del concordato nella liquidazione giudiziale (oggi “concordato fallimentare”) può rappresentare «una possibile alternativa allo stesso [modello liquidatorio base] per la gestione e la sistemazione dell’insolvenza che sia stata accertata giudizialmente, da attuare subito dopo tale accertamento»; ad avviso di chi scrive, tale conclusione sarebbe maggiormente efficace nella prospettiva del codice della crisi di impresa, ossia in un contesto in cui la prosecuzione dell’attività di impresa nella procedura di liquidazione è destinata a divenire regola e non eccezione, con la conseguenza che non sarebbe richiesta alcuna “gestione ponte” dell’impresa mediante lo strumento dell’affitto preesistente alla apertura della procedura.

In questo quadro, dunque, l’unica ragione plausibile per un rinvio integrale del codice della crisi di impresa è rappresentata dalla necessità che in un momento storico quale quello attuale non vi siano incertezze interpretative nella applicazione delle norme riguardanti la disciplina della insolvenza.

4. Nel citato decreto dell’8 aprile 2020, a garanzia della continuità delle imprese, vengono poi adottate una serie di misure che, oltre a incidere sulle norme di diritto societario in tema di riduzione del capitale per perdite, di finanziamento alle società (derogando alla disciplina della postergazione) oltre che sui principi di redazione dei bilanci di esercizio in corso al 2020, all’art. 9 detta disposizioni in materia di concordati preventivi e accordi di ristrutturazione promossi in epoca anteriore al palesarsi della emergenza epidemiologica.

Allo scopo di neutralizzare il rischio che procedure di concordato preventivo o accordi di ristrutturazione «aventi prospettive di successo prima dello scoppio della crisi epidemica» possano essere irrimediabilmente compromesse, il decreto prevede:

a)     una proroga di sei mesi dei termini di adempimento in scadenza tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021dei concordati e degli accordi di ristrutturazione omologati;

b)     per i procedimenti per la omologazione di concordati preventivi o accordi di ristrutturazione pendenti alla data del 23 febbraio 2020, la possibilità per il debitore di presentare, sino alla udienza fissa per la omologazione, una richiesta al tribunale per la concessione di un termine sino a novanta giorni per presentare una proposta di concordato nuova o un nuovo accordo di ristrutturazione; ciò per consentire al debitore di tenere in considerazione i fattori economici sopravvenuti alla crisi epidemiologica;

c)     in alternativa, qualora il debitore intenda modificare la proposta limitatamente ai termini di adempimento, può presentare memoria sino alla udienza di omologazione ivi indicando i nuovi termini di adempimento e allegando la documentazione comprovante la necessità di modifica e tenendo conto che il differimento non potrà essere superiore a sei mesi da quelli originari;

d)     una proroga dei termini sino a novanta giorni dell’automatic stay previsto dagli artt. 161, comma 6, l.fall. (“concordato con riserva”) e dall’art.182- bis comma 7, l.fall.; proroga accessibile al debitore sia nella ipotesi in cui sia in scadenza l’originario termine senza possibilità di proroga; sia nella ipotesi di pendenza di istanza di fallimento. Se tale misura si giustifica con «l’esigenza di conferire quante più chances possibili al salvataggio della impresa», a garanzia della fondatezza della richiesta, il legislatore ha previsto che l’istanza sia comprovata da concreti e giustificativi motivi, nel caso di termini concessi ex art. 161 comma 6 l.fall; e dalla persistente sussistenza dei presupposti per addivenire ad un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze previste dall’art. 182-bis.

Infine, all’art. 10 del citato decreto-legge, il legislatore, uniformandosi alla scelta adottata da altri Paesi Europei, prevede la improcedibilità dei ricorsi presentati per la dichiarazione di fallimento o di insolvenza, ex artt. 15 e 195 l.fall. nel periodo tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020, con la sola eccezione del ricorso presentato dal pubblico ministero che richieda l’applicazione di misure cautelari o conservative ai sensi dell’art. 15, comma 8, l.fall.

Tale misura, eccezionale e temporanea, è volta a bloccare sia le istanze dei creditori sia quelle in proprio del debitore, così consentendo a quest’ultimo di «valutare con maggior ponderazione la possibilità di ricorrere a strumenti alternativi alla soluzione della crisi di impresa senza essere sposti alle conseguenze civili e penali connesse ad un aggravamento dello stato di insolvenza che in ogni caso sarebbe in gran parte da ricondursi a fattori esogeni» (così la Relazione illustrativa al D.L.).

L’introduzione delle citate misure suscita una prima considerazione.

Con riferimento alla misura con la quale si concede al debitore, la cui proposta sia stata già approvata dai creditori o assentita nella ipotesi di accordo ex art 182-bis l.fall., di chiedere un termine in pendenza della procedura volta alla omologazione, per la presentazione di una nuova proposta di concordato preventivo, tale misura se risponde in pieno alla esigenza del debitore proponente di adeguare il programma di ristrutturazione e recupero della solvenza alle mutate circostanze economiche, dovrà comunque tenere in considerazione gli interessi dei creditori assicurando loro le medesime garanzie anche procedurali previste dalla disciplina di riferimento a partire da una nuova valutazione del tribunale sui presupposti di ammissibilità della domanda, una nuova relazione del commissario giudiziale sino ad una nuova adunanza dei creditori.

Le stesse garanzie procedurali andranno assicurate per la ipotesi di istanza per la omologazione del nuovo accordo di ristrutturazione.

Una seconda considerazione riguarda lo spazio di intervento del Decreto.

Il d.l. n. 23 del 2020 non prende infatti in considerazione la situazione delle imprese minori non fallibili e più in generale dei soggetti sottoposti alla disciplina delle procedure di sovraindebitamento contenuta nella l. n. 3 del 2012; con la conseguenza che, per le ipotesi ivi disciplinate e, in particolare, per gli accordi sulla composizione della crisi o per il piano del consumatore si deve ritenere che non vi sia alcuna proroga dei termini di adempimento previsti nella proposta ai creditori, né alcuna possibilità per i soggetti sovraindebitati di adeguare le proposte già presentate e già approvate, per la ipotesi di accordi ex art 10 l. n. 3 del 2012 di adeguarle in ragione delle mutate condizioni economiche

Né potrebbero ritenersi applicabili in via analogica le misure previste per le imprese fallibili.

Si auspica che anche per dette situazioni, il Governo possa intervenire a tutela di questi soggetti.

Credit by:

Giuseppina Ivone – Giustizia Civile

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