Contratto di solidarietà “difensivo” per chi ha dimezzato il fatturato in un anno

  • Posted by autore blog
  • On Luglio 2, 2021
  • 0
Condividi sui social

Il decreto Sostegni-bis ha previsto un nuovo ammortizzatore sociale. Le aziende che rientrano nel campo di applicazione delle integrazioni salariali straordinarie e che nella comparazione tra il primo semestre del 2019 ed il corrispondente periodo del 2021 hanno subito un calo di fatturato di almeno il 50%, in deroga alle previsioni generali, possono stipulare un contratto di solidarietà difensivo. L’obiettivo, non dichiarato esplicitamente, è di procrastinare i licenziamenti per motivi economici. Il decreto Sostegni bis lascia però aperte molte questioni operative.

Nel panorama lavoristico italiano, con l’obiettivo, non dichiarato esplicitamente, ma che è nella stessa natura del contratto di solidarietà, di procrastinare i licenziamenti per motivi economici, è spuntato un nuovo ammortizzatore sociale: la previsione è contenuta nel comma 1 dell’art. 40 del D.L. D.L. 73/2021.

Contratto di solidarietà “difensivo”

Ma, di cosa si tratta?
Le aziende che, rientrano nel campo di applicazione delle integrazioni salariali straordinarie e che nella comparazione tra il primo semestre del 2019 ed il corrispondente periodo del 2021 hanno subito un calo di fatturato di almeno il 50%, in deroga alle previsioni generali, possono stipulare un contratto di solidarietà difensivo che presenta alcune peculiarità:
a) la durata non può superare le 26 settimane;
b) é stipulabile dal 26 maggio e non può superare la data del 31 dicembre 2021;
c) sono previste deroghe agli articoli 4 e 21 del D.Lgs. n. 148/2015: ciò significa che il periodo di tale integrazione salariale non rientra nella durata complessiva di 24 mesi in un quinquennio mobile, anche nel caso in cui il contratto con la causale della solidarietà venga computato per la metà nella parte non eccedente i 24 mesi (art. 22, comma 5): inoltre, la disciplina specifica prevista per tale ammortizzatore dall’art. 21, viene meno ed è sostituita da quella individuata dall’art. 40 del D.L. n. 73/2021;
d) l’integrazione salariale è pari al 70% della retribuzione globale che sarebbe spettata ai lavoratori per le ore di lavoro non prestate, senza il limite massimo previsto dall’art. 3, comma 5 del D.Lgs. n. 148/2015;
e) sulla richiesta non grava l’onere di alcun contributo addizionale che, ricordo, è del 9%, del 12% e del 15% sulla retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestato a seconda del periodo integrativo all’interno del quinquennio mobile (art. 5);
f) le richieste possono essere avanzate dai datori di lavoro interessati entro un limite di spesa per il 2021 pari a 557,8 milioni di euro: l’INPS è incaricato del monitoraggio della spesa e, in caso di superamento, anche prospettico, della soglia, l’Istituto non prende in considerazione le ulteriori domande.

A quali imprese si applica

L’art. 20, sopra richiamato, riprende, “in toto”, quanto scaturiva dall’art. 1, comma 1, della legge n. 223/1991 e dai chiarimenti normativi ed amministrativi successivi: la disciplina della CIGS ed i relativi obblighi contributivi si applicano alle imprese, dei settori sotto elencati, che nel semestre antecedente la data di presentazione dell’istanza abbiano occupato mediamente più di quindici dipendenti (con arrotondamento, in caso di percentuale, per difetto o per eccesso, al numero inferiore o superiore), compresi i dirigenti e gli apprendisti:
a) le imprese industriali, comprese quelle edili ed affini;
b) le imprese artigiane che procedono alla sospensione in conseguenza di sospensioni o riduzioni dell’attività dell’impresa che esercita l’influsso gestionale prevalente. Quest’ultimo viene valutato avendo quali parametri di riferimento gli importi delle fatture dei contratti per l’esecuzione di opere e servizi o produzioni di e/o semilavorati oggetto dell’attività produttiva o commerciale del committente: nel biennio precedente la data di richiesta dell’intervento esso deve aver superato il 50% del complessivo fatturato dell’azienda destinataria delle commesse. Esso viene rilevato (comma 5) dall’elenco dei clienti e dei fornitori ex art. 21, comma 1, del D.L. n. 78/2010 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 che concerne le comunicazioni telematiche all’Agenzia delle Entrate;
c) le imprese appaltatrici di sevizi mensa o ristorazione, che subiscano una riduzione di attività in dipendenza di situazioni di difficoltà dell’azienda appaltante, che abbiano comportato per quest’ultima il ricorso al trattamento ordinario o straordinario di integrazione salariale;
d) le imprese appaltatrici di servizi di pulizia, anche se costituite in forma cooperativa, che subiscano una riduzione di attività in conseguenza della riduzione di attività dell’azienda appaltante, che abbiano comportato per quest’ultima il ricorso al trattamento ordinario o straordinario di integrazione salariale;
e) le imprese dei settori ausiliari del servizio ferroviario, ovvero del comparto della produzione e della manutenzione del materiale rotabile;
f) le imprese cooperative di trasformazione di prodotti agricoli e loro consorzi;
g) le imprese di vigilanza;
h) le imprese cooperative ed i loro consorzi che trasformano e manipolano prodotti agricoli, atteso che il concetto di trasformazione comprende anche il concetto di manipolazione. Tale precisazione è contenuta nella circolare n. 30/2015, la quale ricorda che le imprese agricole ed i loro consorzi che commercializzano prodotti rientrano nel campo di applicazione dell’istituto, con la conseguenza che il relativo trattamento normativo si trova nell’art. 20, comma 2, lettera a (numero medio dei dipendenti, nel semestre precedente, superiore ai 50 dipendenti, compresi gli apprendisti ed i dirigenti);
i) le imprese grafico editoriali a cui si riferisce l’art. 25-bis del D.Lgs n. 148/2015: per tali aziende si prescinde dal requisito dimensionale, così come previsto dal D.Lgs n. 69/2017.
Se il numero dei dipendenti nel semestre precedente la presentazione dell’istanza è stato mediamente superiore alle 50 unità (compresi i dirigenti e gli apprendisti) la medesima disciplina trova applicazione:
a) alle imprese esercenti attività commerciali, ivi compresa la logistica;
b) alle agenzie di viaggio e turismo, compresi gli operatori turistici.
prescindere dal numero dei dipendenti la stessa disciplina si applica:
a) Alle imprese di trasporto aereo, a quelle di gestione aeroportuale, a quelle derivare ed alle imprese del sistema aeroportuale;
b) Ai partiti ed ai movimenti politici ed alle loro articolazioni territoriali con alcuni limiti di spesa fissati per il 2015 in 8,5 milioni di euro e in 11,25 milioni di euro per l’anno successivo. L’integrazione salariale straordinaria per tali soggetti è prevista dall’art. 16 della legge n. 15/2014. Sarà da chiarire se tali soggetti possano rientrarvi, atteso che la norma, richiamando l’art. 8, comma 1, del D.L. n. 41/2021, convertito, con modificazioni, nella legge n. 69, si riferisce ai datori di lavoro e non alle imprese: il tutto, ovviamente, alla luce dei limiti richiamati dall’INPS, con il messaggio n. 5865 del 23 settembre 2015. Personalmente, credo che siano esclusi.

Trasferimento di azienda

Nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un trasferimento di azienda e vi sia una richiesta di intervento integrativo prima che siano trascorsi almeno sei mesi dal passaggio, il requisito dimensionale (media degli occupati superiore a 15 dipendenti) deve sussistere dalla data in cui si è realizzato il trasferimento.
L’ultimo comma dell’art. 20 non interviene su alcuni provvedimenti integrativi che conservano la loro specificità come, ad esempio le imprese in amministrazione straordinaria che continuano la loro attività (art. 7, comma 10 ter della legge n. 236/1993, c.d. “legge Prodi”). La circolare n. 24/2015 effettua una riflessione importante circa la individuazione del requisito dimensionale, affermando che il riferimento al numero dei lavoratori occupato mediamente relativo al semestre precedente segue i vecchi criteri per quel che riguarda il computo dei contratti a termine. Ciò significa che in deroga alle modalità di computo previste dall’art. 27 del D.Lgs. n. 81/2015, trattandosi quella della CIGS una normativa speciale inserita all’interno del D.Lgs. n. 148/2015, ogni lavoratore con contratto a tempo determinato conta per una unità. Se questa è l’interpretazione, rimane sempre in piedi la modalità di calcolo dei “tempi parziali stabilita dall’art. 9 del D.Lgs. n. 81/2015 (pro – quota, rispetto all’orario pieno) e quella dei lavoratori intermittenti cui fa riferimento l’art. 18 del D.Lgs. n. 81/2015 (in proporzione all’orario svolto nell’impresa in ciascun semestre).
Requisito del fatturato
Altro requisito fondamentale è quello del fatturato: il raffronto tra i due primi semestri del 2019 e del 2021 con un calo significativo di almeno il 50% dovrebbe restringere alquanto il potenziale campo di applicazione della norma, in quanto nel settore industriale cali significativi del 30-40% che pur si sono registrati, “fanno restare sull’uscio” molti possibili destinatari.
Fin qui, per sommi capi, le novità rispetto alle regole generali che disciplinano il contratto di solidarietà difensivo.
Fatta questa breve premessa, reputo necessario entrare nel merito delle varie questioni.

Necessario l’accordo con le organizzazioni sindacali

La disposizione postula, come per tutti i contratti di solidarietà (art. 21, comma 5, del D.Lgs. n. 148/2015), un accordo con le organizzazioni sindacali che sono, ai sensi del richiamato art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015, quelle comparativamente può rappresentative sul piano nazionale o le “loro” RSA o la RSU. L’accordo, recita la norma, è finalizzato al mantenimento dei livelli occupazionali nella fase di ripresa dell’attività dopo l’emergenza epidemiologica.
Tutto ciò significa che:
a) durante il trattamento integrativo l’azienda non può procedere a licenziamenti individuali o plurimi per giustificato motivo oggettivo o collettivi a seguito di procedura di riduzione di personale. Del resto, tale disposizione appare coerente anche con quanto, riferendosi ai “normali” contratti di solidarietà, afferma l’art. 4, comma 4, del D.M. del Ministro del Lavoro n. 94033/2016 che parla, unicamente, di “licenziamenti non oppositivi”, ossia di risoluzioni concordate, magari individuate, come criterio unico ai sensi dell’art. 5 della legge n. 223/1991;
b) nel calcolo del mantenimento dei livelli occupazionali non vanno, a mio avviso, compresi i dipendenti che risolvono il proprio rapporto per pensionamento, per dimissioni o per risoluzione consensuale, attivabile, quest’ultima, anche a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali. Ovviamente, anche i dipendenti licenziati per giusta causa non rientrano nel computo del mantenimento dei livelli occupazionali.
La riduzione media oraria non può essere superiore all’80%, riferita all’orario giornaliero, settimanale o mensile, con punte per ciascun lavoratore, rapportato all’intero periodo, pari al 90%: il tradizionale contratto di solidarietà prevede una percentuale del 60% elevabile, sull’intero periodo, per il singolo lavoratore al 70%.
Ripetendo in una sorta di “copia ed incolla” quanto già previsto dall’art. 21, comma 5, del D.Lgs. n. 148/2015, l’art. 40 ricorda che:
a) il trattamento economico da prendere in considerazione per il calcolo della indennità integrativa non deve tener conto di eventuali contratti integrativi aziendali stipulati nel semestre antecedente la richiesta;
b) il trattamento di integrazione salariale viene ridotto in corrispondenza di eventuali successivi aumenti retributivi intervenuti in sede di contrattazione aziendale;
c) l’accordo collettivo deve indicare le modalità attraverso le quali l’azienda, nei limiti del normale orario di lavoro, può soddisfare le esigenze di maggiore attività, modificando, in aumento, l’orario ridotto: il maggior aumento di lavoro comporta la riduzione del trattamento integrativo.
Ma cosa significano i tre punti appena evidenziati?
I primi due rappresentano una sorta di salvaguardia, nel senso che (ma la questione appare più teorica che pratica trattandosi di azienda che è stata in integrazione COVID-19 ed ha subito un calo di fatturato di almeno il 50%) non sono presi in considerazione, ai fini della quantificazione della retribuzione di riferimento, gli aumenti frutto di accordi aziendali stipulati nei sei mesi antecedenti e che qualora ne vengano stipulati successivamente alla richiesta questi andranno ad incidere, in riduzione, sul trattamento integrativo.
Il terzo punto ha lo scopo di individuare specifiche modalità per far fronte ad un aumento di lavoro: la disposizione intende salvaguardare quei lavoratori che a parità di mansioni, potrebbero essere esclusi dalla ripresa parziale, restando in trattamento integrativo.

Trattamento economico riconosciuto

Ma, a quanto ammonta il trattamento economico riconosciuto?
Esso, come detto pocanzi, è pari al 70% della retribuzione globale che sarebbe spettata per le ore non lavorate, senza l’applicazione del massimale previsto dall’art. 3, comma 5, del D.Lgs. n. 148/2015 che per l’anno 2021 è a:
a) 998,18 euro lordi e 939,89 netti se la retribuzione risulta inferiore o uguale a 2.159,48 euro;
b) 1.199,72 euro lordi es.129,66 netti se la retribuzione risulta superiore a 2.159,48 euro.

Cosa non dice il decreto Sostegni-bis

L’art. 40 del D.L. n. 73/2021 nulla dice:
a) sui tempi per la consultazione sindacale ed il raggiungimento dell’accordo ai quali ritengo applicabili, in mancanza di altre definizioni normative, quelle concernenti il contratto di solidarietà difensivo disciplinato dal D.Lgs. n. 148/2015;
b) sulla istanza che, presumibilmente, trattandosi di un ammortizzatore straordinario, dovrà essere presentata alla Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione del Ministero del Lavoro;
c) sui tempi di presentazione della domanda telematica che, presumibilmente, saranno identici (sette giorni dal raggiungimento dell’accordo) e che dovrebbe avvenire attraverso il sistema della CIGS on line;
d) sui tempi di approvazione della domanda;
e) sulle modalità di pagamento della integrazione salariale;
f) sui controlli che, presumibilmente, se richiesti, saranno affidati alle articolazioni territoriali dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
In ordine a tali questioni e a tutte le fattispecie del nuovo contratto di solidarietà si attendono, con fiducia, i chiarimenti amministrativi del Ministero del Lavoro il quale, anche in relazione ad eventuali controlli (se vorrà chiederli), dovrà, a mio avviso, aggiornare la casistica prevista dalla circolare n. 27/2016 della Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione, indirizzata, a suo tempo, agli organi ispettivi delle Direzioni territoriali del Lavoro, in quanto si tratterà di verificare, in concreto, il calo del fatturato, il rispetto dei nuovi limiti massimi di integrazione ed i contenuti dell’accordo raggiunto dal datore di lavoro con le organizzazioni sindacali e la loro legittimità a sottoscriverlo (ossia se sono emanazione delle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, come recita l’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015).
Da ultimo, una breve riflessione su un altro piccolo vantaggio per i datori di lavoro che decideranno di attivare tale ammortizzatore: a differenza di ciò che accade per le integrazioni salariali straordinarie da CIGS, nel contratto di solidarietà (che rappresenta, pur sempre, l’ammortizzatore preferito dal D.Lgs. n. 148/2015), le quote di TFR maturate durante l’integrazione da solidarietà sono a carico dell’INPS, a meno che gli stesso non procedano a licenziamenti n novanta giorni successivi a fine del contratto
Credit by:
IPSOA Quotidiano
0 comments on Contratto di solidarietà “difensivo” per chi ha dimezzato il fatturato in un anno