Ancora una volta il Governo si rende conto che tra le decisioni da prendere per agevolare i lavoratori ed evitare la perdita di posti di lavoro, vi è anche quella riguardante l’allentamento delle regole previste per i contratti a tempo determinato. E lo fa con l’articolo 17, del decreto Sostegni, andando a prorogare fino al 31 dicembre 2021 il blocco di alcuni precetti previsti dall’articolo 21 del Testo Unico sui contratti di lavoro (decreto legislativo n. 81/ 2015), in caso di assunzione o proroga di lavoratori con rapporto di lavoro a termine.
A questo punto la “precarietà”, come definita da una parte politica ed enfatizzata con il decreto Dignità del 2018 (decreto legge n. 87/2018), viene vista come “flessibilità” da sostenere affinché non vi sia una riduzione occupazionale.
Ambito di applicazione
Ricordo che detta agevolazione è operante esclusivamente nei casi in cui il lavoratore abbia già prestato la propria attività lavorativa all’interno dell’azienda con un contratto di lavoro a tempo determinato, anche in somministrazione, e per il quale l’azienda abbia proceduto a rinnovare il rapporto di lavoro, ovvero qualora il rapporto in essere venga prorogato e cioè venga allungata, con un ulteriore periodo di tempo, la data di scadenza inizialmente fissata tra le parti. Ragion per cui l’agevolazione è esclusa qualora si tratti di una prima assunzione a tempo determinato che, in virtù di quanto previsto dall’articolo 19, comma 1, del decreto legislativo n. 81/2015, abbia una durata superiore ai 12 mesi o, altresì, qualora il precedente rapporto di lavoro a termine sia stato svolto presso un’azienda appartenente al medesimo gruppo di imprese a cui fa parte l’azienda che oggi ha intenzione di assumere il lavoratore.
Vincoli al lavoro a termine proprio necessari?
L’ennesima reiterazione della sospensione di una parte dei numerosi vincoli, disposti ordinariamente dal legislatore per questa tipologia di contratti di lavoro, ci pone dinanzi a un dilemma al quale il Governo dovrà, prima o poi, rispondere: servono realmente tutte queste regole che appesantiscono in modo così invasivo un contratto, che per quanto temporaneo, è di natura subordinata e come tale tutelato per tutta la sua durata? Sono effettivamente necessarie tutte queste regole per una tipologia contrattuale considerata fondamentale per un mercato flessibile, come quello che stiamo vivendo in questi anni, e che può aiutare la ripartenza delle nostre imprese dopo l’emergenza sanitaria in atto?
La stessa legislazione europea, dalla quale deriva l’attuale normativa italiana (Direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999), aveva richiesto agli Stati membri, al fine di prevenire abusi derivanti dalla reiterazione dei contratti a termine, l’introduzione di una o più misure relative a:
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
In Italia abbiamo abbondato, non solo recependo tutte le misure suggerite dal Consiglio Europeo, ma aggiungendone anche altre:
· obbligo dello “stop & go”,
· percentuale massima di contratti a termine
· e ben due tipologie di maggiorazioni contributive (1,4% per ogni contratto a termine e 0,50% per ogni rinnovo).
O basterebbero solo 3 semplici regole?
Basterebbero tre semplici regole per limitare il procrastinarsi di contratti a termine in capo al medesimo lavoratore:
1. la durata massima complessiva di rapporti a tempo determinato;
2. la percentuale massima di contratti a termine in proporzione ai contratti a tempo indeterminato presenti in azienda;
3. una maggiorazione retributiva (e quindi contributiva) per tutta la durata del contratto a termine.
La prima regola (durata massima complessiva) che disponga una durata massima calcolata cumulando tutti i rapporti di lavoro a termine, anche in somministrazione, tra l’azienda e quel determinato lavoratore, indipendentemente dal cambio di livello e categoria legale, come, invece, viene previsto oggi.
La seconda regola (percentuale massima di contratti a termine) che definisca, in maniera chiara ed univoca, il numero massimo di lavoratori a tempo determinato che una azienda può avere contemporaneamente, rispetto al numero di lavoratori a tempo indeterminato presenti in azienda.
La terza regola (maggiorazione retributiva) che preveda una sorta di “indennizzo” al lavoratore, il quale si impegna a prestare la propria opera lavorativa senza alcuna stabilizzazione del rapporto di lavoro.
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