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COMUNE SCIOLTO PER PRESUNTE INFILTRAZIONI MAFIOSE, IL SINDACO È CANDIDABILE

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  • On Giugno 9, 2023
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Un’importante sentenza relativa all’istituto della incandidabilità degli amministratori di enti locali sciolti per infiltrazioni mafiose è stata emessa lo scorso 31 maggio dalla Prima sezione civile del Tribunale di Catania nei confronti di un ex sindaco, di un ex presidente del consiglio comunale e di 4 ex consiglieri, difesi dagli avvocati Giuseppe Berretta e Giovanni Mania dello studio legale Avvocati associati.

I fatti

Il 18 ottobre del 2021 un Comune siciliano è stato sottoposto alla misura dello scioglimento per infiltrazioni mafiose; l’impugnazione del Decreto di scioglimento risulta essere sub iudice dinnanzi al TAR competente.

Nei confronti degli amministratori del Comune è stata richiesta al Tribunale civile di Catania la declaratoria di incandidabilità, ex art. 143, comma 11, d. lgs. 267/2000.

La premessa

La Prima Sezione Civile del Tribunale di Catania ha innanzitutto compiuto una attenta disamina dell’istituto della incandidabilità e del relativo procedimento, il primo “molto vagamente definito dal legislatore pur a fronte della gravità estrema della sanctio siccome deprivante, seppur temporaneamente, un soggetto dei diritto di elettorato passivo di rango costituzionale”, il secondo “molto vagamente delineato dal legislatore, ma invero, imprescindibilmente qualificato dal precetto costituzionale della inviolabilità del diritto di difesa”. 

Da ciò – afferma il Tribunale – l’esigenza di procedere all’interpretazione dell’istituto “alla luce dei principi costituzionali e di provenienza CEDU (così come declinati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo) che regolano il catalogo aperto dei Diritti Superiori:”

L’articolo 143, comma 11

Prosegue il Tribunale osservando che “l’art. 143 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali – così come risultante dalla sostituzione operata dalla L .1 5 luglio 2009, n. 94, art. 2, comma 3 0 , (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) – prevede lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali quando emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori …, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad essi affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.

Nell’ambito della norma si colloca la previsione, contenuta nel comma 11 , dell’incandidabilità temporanea degli “amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento del consiglio dell’ente locale” che “non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo” (Cass., Sezioni Unite, 30/1/2015, n. 1747).

Chi esercita l’azione di incandidabilità

Osserva il Tribunale che “il legittimato attivo all’esercizio dell’actio è unicamente l’Amministrazione dell’Interno: Il citato comma 11, detta anche la disciplina del procedimento giurisdizionale rivolto alla dichiarazione della incandidabilità degli amministratori responsabili. Vi si prevede infatti che “ai fini della dichiarazione d’incandidabilità il Ministro dell’interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4, al tribunale competente per territorio, che valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 11 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa. Si applicano, in quanto compatibili, le procedure di cui al libro 4^, titolo 21, capo 6^, del codice di procedura civile”.

Inoltre “Prevedendo che “ai fini della dichiarazione d’incandidabilità il Ministro dell’interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4, al tribunale competente per territorio” il citato art. 143, comma 11, non solo affida al Ministro dell’interno la legittimazione attiva, ma anche individua nella trasmissione della proposta di scioglimento avanzata dallo stesso Ministro l’atto introduttivo del procedimento”.

L’extrema ratio della sanctio della “incandidabilità”

La natura di “rimedio di extrema ratio” della sanctio della “incandidabilità” , tuttavia, determina l’impossibilità che possa farsi “scaturire a mò di automatismo, dal provvedimento ministeriale di scioglimento del consiglio… Il che, se così fosse, certamente vizierebbe il provvedimento, avendo questa Corte già avuto modo di ripetere che adottato il provvedimento di scioglimento dell’amministrazione comunale, la dichiarazione d’incandidabilità degli amministratori non ne costituisce conseguenza automatica, ma ha carattere autonomo essendo fondata su presupposti diversi, e segnatamente sull’accertamento della colpa degli amministratori per la cattiva gestione della cosa pubblica . (Cass. 22 aprile 2020, n. 8030). E cioè, il provvedimento di scioglimento richiede, ai sensi dell’art.143 citato, comma 1, che emergano concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare le conseguenze normativamente previste. Il successivo comma 11 medesima disposizione prevede la sanzione dell’incandidabilità degli “amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento”. Occorre cioè che i concreti, univoci e rilevanti elementi siano addebitabili all’amministratore fatto segno alla sanzione di incandidabilità.”

L’onere probatorio

Stando così le cose,scrive il Tribunale,“é dunque giunto il momento di porsi il problema dell’onere probatorio, disciplinato nella fattispecie sub iudice – giusta espresso enunciato del Supremo Collegio in Cass., 15/2/2021, n. 3857 – con la limpida norma di  sistema di cui all’art. 2697 cc, a tenore della quale “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono fondamento” quindi è “sul titolare dell’actio – Ministero dell’Interno – che  grava l’onere della prova dei fatti costitutivi e sul “convenuto” – amministratore ne cui confronti è chiesta l’applicazione della sanctio della incandidabilità – l’onere della prova del fatto impeditivo, modificativo od estintivo”.

Quindi, non “scaturendo” la prova “a mò di automatismo, dal provvedimento ministeriale di scioglimento del consiglio” occorre valutare se gli elementi significativi e significanti per “la configurabilità di una personale individuata responsabilità” […] siano sussistenti agli atti del processo. 

La decisione

Secondo la Prima sezione civile del Tribunale di Catania, nel caso sottoposto al suo esame, “non appaiono affatto sussistere nella fattispecie sub iudice “concreti, univoci e rilevanti elementi fondanti la “colpa dello stesso amministratore” in termini di “personale individuata responsabilità” nell’avere determinato o concorso significativamente a determinare “una situazione di cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze esterne e asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali, a meno di compiere una scorretta assimilazione tra lo scioglimento e l’incandidabilità il che sarebbe quanto dire che allo scioglimento consegue ipso iure la sanzione della incandidabilità per i componenti dell’organo elettivo disciolto con un “automatismo” sconfessato dalla Corte Nomofilattica”.

In altri termini, “non risulta evaso dall’Amministrazione dell’Interno sulla quale lo stesso incombeva – e tanto più rigorosamente in quanto la sanctio della incandidabilità è “l’extrema ratio” – l’onere della prova ex art. 2967 a linea cc, “che sussista, per colpa dello stesso amministratore, una situazione di cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze esterne e asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali operanti sul territorio”.

Il Tribunale, dunque, dichiara l’insussistenza dei presupposti per la declaratoria di incandidabilità nei confronti degli ex amministratori del comune.

QUI LA SENTENZA PER INTERO

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