Omissioni contributive: l’I.N.P.S. è litisconsorte necessario nel giudizio tra datore di lavoro e lavoratore

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  • On Settembre 30, 2020
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Pubblichiamo il seguente articolo, redatto da Marcello Trombetta e Silvia Mariani, tratto da IPSOA Quotidiano, in cui gli autori commentano la recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 19679, del 21 settembre 2020 (il cui contenuto viene pedissequamente trascritto), con cui i giudici di legittimità stabiliscono il principio per cui l’I.N.P.S. è litisconsorte necessario nei procedimenti di lavoro volti ad ottenere la condanna dell’azienda al versamento a favore del Fondo di solidarietà per il sostegno al reddito di cui al D.M. n. 158 del 2000.

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Nelle controversie di lavoro volte ad ottenere la condanna dell’azienda al versamento a favore del Fondo di solidarietà per il sostegno al reddito, istituito presso l’I.N.P.S. dal D.M. n. 158 del 2000, dei contributi “correlati” alla retribuzione mensile, sussiste litisconsorzio necessario con l’INPS, sia in ragione della natura obbligatoria di tale contribuzione, sia per le ricadute di ordine processuale della struttura del rapporto dedotto in giudizio. L’obbligo datoriale di pagare integralmente i contributi dovuti, infatti, si sostanzia, nell’ambito del rapporto di lavoro, in un obbligo di un facere e non già in un diritto di credito del lavoratore ai contributi. Nella prassi è abbastanza discusso la necessità di convenire in giudizio l’I.N.P.S. nell’ambito dei contenziosi aventi ad oggetto la richiesta di accertamento dell’omissione contributiva e la conseguente condanna del datore di lavoro al versamento di ulteriori contributi. Occorre cioè comprendere se sussista il litisconsorzio necessario tra il lavoratore, il datore di lavoro e l’ente previdenziale, all’ipotesi in cui il dipendente chieda la condanna del datore di lavoro alla regolarizzazione del rapporto contributivo.

La giurisprudenza di legittimità sul punto non ha formato ad oggi un indirizzo univoco. Un più datato orientamento (cfr. Cass. SS.UU. n. 3678/2009), partendo dal presupposto che l’ente previdenziale non è solo un mero destinatario del pagamento ma è interessato all’accertamento giudiziale del rapporto di lavoro e della misura della retribuzione, ha ritenuto che la struttura del rapporto abbia imprescindibili riflessi processuali, in termini di litisconsorzio necessario, poiché interessa la sfera giuridica dei tre i soggetti coinvolti (datore di lavoro, ente previdenziale e lavoratore). Secondo un diverso orientamento (tra le altre Cass. n. 17162 del 2016), invece, anche qualora il giudizio abbia ad oggetto la regolarizzazione della posizione contributiva del lavoratore, l’I.N.P.S. riveste unicamente la posizione di destinatario del pagamento del versamento omesso. Ne consegue così la carenza in capo all’Istituto Previdenziale di interesse all’accertamento del rapporto di dipendenza, il quale costituisce solo il presupposto del maggior obbligo contributivo. Da ciò risulterebbe insussistente la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’I.N.P.S. medesimo.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19679 depositata il 21 settembre 2020, scrupolosamente motivata, ha affermato che l’I.N.P.S. è litisconsorte necessario ogniqualvolta il lavoratore chieda la condanna del datore di lavoro al pagamento, di contributi omessi in favore dell’ente previdenziale. Nella specie, il dipendente di un’azienda di credito agiva in giudizio per ottenere la condanna del datore di lavoro al versamento in favore del Fondo di solidarietà per il sostegno al reddito, istituito presso l’I.N.P.S. dal D.M. n. 158 del 2000, dei contributi “correlati” alla retribuzione globale dell’ultimo anno di riferimento e della relativa rivalutazione, con la conseguente condanna del datore di lavoro al pagamento del dovuto. Le domande venivano parzialmente accolte sia in primo sia in secondo grado, determinando il ricorso principale del datore di lavoro e di quello incidentale del lavoratore in Cassazione. I giudici di legittimità hanno innanzitutto rilevato la nullità del giudizio per difetto di integrità del contraddittorio, attesa la mancata chiamata, in entrambi i gradi di merito, dell’I.N.P.S. La decisione della Suprema Corte conferma così i principi affermati dalle SS.UU sul punto (n. 3678 del 2009) sostanzialmente basandosi sulla natura della c.d. contribuzione correlata e sulle ripercussioni che la struttura del rapporto ha sul piano processuale. In particolare, la Cassazione ha rilevato la natura obbligatoria della contribuzione correlata (di cui al D.M. 158/2000), in quanto “obbligatoriamente rapportata alla prestazione erogata”. Non è possibile, infatti, subordinare la verifica né alla discrezionalità dell’ente previdenziale, in termini di preventiva autorizzazione, tanto meno dell’assicurato, per l’utilità ai propri fini pensionistici. Pertanto nelle ipotesi in cui il lavoratore chieda la condanna del datore di lavoro alla regolarizzazione della posizione contributiva, con pagamento in favore dell’I.N.P.S., non si sostanzia in un diritto di credito del lavoratore ai contributi, bensì nell’obbligo del datore di un facere nei confronti di un terzo. Ne consegue così che senza il coinvolgimento del soggetto in favore del quale il datore di lavoro deve adempiere, non si avrebbe e non si potrebbe avere alcun effetto verso l’ente previdenziale, nonostante concretamente coinvolto nella situazione sostanziale dedotta in giudizio. La posizione di terzietà dell’I.N.P.S. rispetto al rapporto di lavoro, infatti, renderebbe inopponibile qualsiasi giudicato e non rileverebbe ai fini interruttivi della prescrizione dei contributi. La Suprema Corte ha comunque precisato che la mancata integrazione del contraddittorio non comporta l’inammissibilità della domanda, quanto piuttosto, dà luogo ad un litisconsorzio necessario (ai sensi dell’art. 102 c.p.c.) cui consegue la nullità del giudizio, rilevabile in ogni stato e grado del processo, salvo il limite del giudicato.

Civile Sent. Sez. L Num. 19679 Anno 2020

Presidente: MANNA ANTONIO

Relatore: GHINOY PAOLA

Data pubblicazione: 21/09/2020

SENTENZA

sul ricorso 5473-2014 proposto da:

(omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (omissis), presso lo studio dell’avvocato (omissis), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (omissis);

– ricorrente – principale

contro

(omissis), elettivamente domiciliato in (omissis), presso lo studio dell’avvocato (omissis), che lo rappresenta e difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

(omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (omissis), presso lo studio dell’avvocato (omissis), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (omissis);

 – ricorrente principale – controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. (omissis) della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il (omissis); udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/03/2020 dal Consigliere Dott. (omissis); udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale (omissis) che ha concluso per accoglimento del ricorso principale per guanto di ragione, rigetto del ricorso incidentale; udito l’Avvocato (omissis); udito l’Avvocato (omissis).

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al Tribunale di Salerno, (omissis) esponeva di avere lavorato alle dipendenze del (omissis) fino al 30/6/2002, allorché il rapporto era cessato avendo egli aderito all’esodo incentivato usufruendo delle prestazioni del Fondo di solidarietà e di sostegno al reddito ed all’occupazione, istituito con DM n. 158 del 28/4/2000 per il personale dipendente dalle imprese di credito. Aggiungeva di avere sottoscritto davanti alla Direzione Provinciale del lavoro di Napoli un accordo con cui il (omissis) si era impegnato, tra l’altro, all’attivazione della procedura per far ottenere al dipendente l’assegno straordinario da parte del Fondo nonché alla prosecuzione dei versamenti contributivi per il lavoratore fino alla data di maturazione dell’anzianità contributiva utile al pensionamento; che in tale occasione gli era stata fatta firmare una modulistica per la richiesta dell’assegno straordinario, che era rimasta tuttavia incompleta del quadro D che doveva contenere l’indicazione della retribuzione e delle competenze arretrate, quadro che il (omissis) avrebbe dovuto completare ed inviare all’Inps.

2. Il ricorrente riferiva, inoltre, che aveva successivamente accertato che l’importo della retribuzione su cui calcolare la contribuzione previdenziale era stato determinato in misura inferiore, avendo il (omissis) fatto riferimento solo alle voci fisse della retribuzione contrattuale con conseguente minore accredito dei contributi previdenziali e pregiudizio per il lavoratore.

3. Chiedeva, pertanto, che fosse riconosciuto il proprio diritto a che la convenuta eseguisse i versamenti previdenziali tenendo conto dell’ultimo anno di retribuzione globale, con successivi aggiornamenti Istat, con condanna al pagamento in favore dell’Inps delle somme dovute. Il Tribunale di Salerno accoglieva in parte la domanda, riconoscendo il diritto dell’(omissis) al ricalcolo della contribuzione, ma non quello alla relativa rivalutazione.

5. La decisione di primo grado veniva confermata dalla Corte d’appello di Salerno con la sentenza qui impugnata.

6. La Corte territoriale richiamava una propria precedente sentenza avente ad oggetto la medesima vicenda e, disattesa l’eccezione di incompetenza territoriale, accertava che nel quadro D della domanda di erogazione dell’assegno la retribuzione media settimanale su cui calcolare i contributi era stata indicata in C 777,00 e che tuttavia il (omissis) prima e il (omissis) dopo avevano versato all’Inps contributi su una retribuzione settimanale di C 716,00, quindi in misura inferiore a quella risultante sulla domanda di assegno straordinario. Riteneva quindi che il (omissis) non avesse dato puntuale esecuzione ai suoi impegni, considerato il diverso importo della retribuzione indicato sulla domanda di assegno.

7. La Corte rigettava poi l’appello incidentale con cui il lavoratore aveva chiesto la rivalutazione della retribuzione annuale, argomentando che la rivalutazione non era prevista nella domanda di assegno straordinario, né nel verbale di conciliazione e comunque poteva operare con riguardo alla prosecuzione della contribuzione volontaria regolamentata dal d.lgs n 184/1997, non applicabile alla fattispecie.

8. Avverso la sentenza (omissis) ha proposto ricorso, affidato a cinque motivi. (omissis) ha resistito con controricorso ed ha proposto altresì ricorso incidentale affidato ad un unico motivo, cui (omissis) ha resistito con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c.  Il ricorso principale e quello incidentale sono stati riuniti ex art. 335 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

10. Occorre premettere che l’eccezione d’inammissibilità del ricorso principale formulata dal controricorrente non è fondata.

11. La tecnica dell’assemblaggio degli atti processuali determina l’inammissibilità del ricorso solo quando si renda in tal modo incomprensibile il mezzo processuale, perché privo di una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali (ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c.), della sintetica esposizione della soluzione accolta dal giudice di merito, nonché dell’illustrazione dell’errore da quest’ultimo commesso e delle ragioni che lo facciano considerare tale (Cass. n. 22185 del 30/10/2015, Cass. n. 8245 del 04/04/2018).

12. Tali lacune non si riscontrano nel ricorso in esame, in cui l’illustrazione dei motivi è formulata in modo completo e comprensibile e le 33 pagine che la precedono, contenenti la trascrizione degli atti del processo, ne costituiscono la premessa.

13. Come primo motivo del ricorso principale (omissis) lamenta la nullità della sentenza e la violazione degli articoli 132, 156, 161 c.p.c. nonché dell’articolo 111 Cost.; sostiene che la sentenza costituirebbe una mera trascrizione di altra decisione resa dalla medesima Corte d’appello in un giudizio intercorso fra esso e altro ex dipendente, con utilizzazione di argomenti che sono stati oggetto di altro processo, che non hanno trovato ingresso nel processo in esame e non hanno attinenza con le censure sollevate dall’appellante nel ricorso, sicché si renderebbe impossibile il confronto tra le tesi dibattute, le censure sollevate e la decisione.  Come secondo motivo deduce la nullità della sentenza e la violazione degli articoli 132, 156, 161 c.p.c. nonché dell’articolo 111 Cost. 15. Il ricorrente lamenta che la Corte abbia ritenuto rilevante la retribuzione indicata nel modulo, mentre questa non aveva nessuna importanza, trattandosi di rapporto previdenziale, sicché la lite avrebbe dovuto essere risolta applicando la disciplina contenuta nel DM 158 del 2006 e del d.lgs n. 184 del 1997. 16. Come terzo motivo deduce la mancanza di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e la violazione dell’articolo 112 c.p.c. e sostiene che erroneamente la Corte d’appello e il giudice di primo grado avrebbero ritenuto che la domanda riguardasse l’adempimento degli obblighi scaturenti dalla conciliazione formalizzata con il dipendente e, quindi, una domanda di adempimento contrattuale che invece non era stata mai proposta, in quanto (omissis) aveva chiesto la condanna della convenuta al pagamento della contribuzione prevista dalla normativa vigente.

17. Come quarto motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 10, commi 7 e 12, del DM 158 del 2000. Sostiene che con la sottoscrizione della transazione in sede di DPL (omissis) aveva accettato l’applicazione delle disposizioni contenute nella disciplina del Fondo di solidarietà e che il dato indicato nell’allegato D al modulo compilato dal (omissis) per accedere a detto trattamento si riferiva ad una base errata perché non determinata a stregua di legge.

18. Come quinto motivo deduce l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia avente ad oggetto l’interesse ad agire dell’Acanfora e lamenta che la Corte abbia ritenuto che un ampliamento della base su cui calcolare la contribuzione avrebbe determinato automaticamente un ampliamento della base su cui calcolare la pensione, senza fornire alcuna motivazione.

19. (omissis) ha proposto a sua volta ricorso incidentale affidato ad un motivo, con il quale deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2, comma 28, della legge n 662 del 1993 degli articoli 1 e seguenti del DM 158 del 2002, del d.lgs 30 aprile 97 n. 184 e di ogni altra norma e principio in materia di contribuzione obbligatoria volontaria e figurativa. Il motivo attinge la sentenza della Corte d’appello nella parte in cui non ha riconosciuto il diritto alla rivalutazione annuale della base pensionabile.

20. Preliminarmente all’esame dei motivi posti con i ricorsi, va rilevata la nullità del giudizio per difetto di integrità del contraddittorio.

21. Come si è detto nello storico di lite, la sentenza impugnata ha confermato quella del Tribunale che aveva condannato (omissis) a ricalcolare i contributi dovuti al Fondo di solidarietà in base all’ultima mensilità percepita dall’(omissis) secondo il criterio di 1/360 della retribuzione annua per ogni giornata e a versare all’Inps la differenza tra quelli dovuti e quelli già versati, dalla data dell’esodo alla data di maturazione del trattamento pensionistico di anzianità.

22. Non risulta, però, che l’INPS sia mai stato chiamato in giudizio.

23. In vicenda affatto analoga alla presente questa Corte ha già avuto modo di affermare che essendo la posizione dell’INPS «solo quella di soggetto destinatario del predetto versamento» ed in considerazione dell’autonomia dall’istituto del Fondo di solidarietà, non sarebbe nei suoi confronti configurabile un’ipotesi di  litisconsorzio necessario (Cass. n. 13874 del 7 luglio 2016 e Cass. n. 17162 del 2016, in motivazione).

24. A tale soluzione non può tuttavia essere data continuità, ostandovi argomenti logici e sistematici desumibili sia dalla natura della c.d. contribuzione correlata di cui al d.m. n. 158/2000 che, più in generale, dalle ricadute di ordine processuale della struttura del rapporto dedotto in giudizio.

25. Circa la natura della contribuzione correlata per i periodi di erogazione dell’assegno straordinario per il sostegno al reddito, da calcolarsi com’è noto sulla base della retribuzione di cui all’art. 10, comma 7, d.m. n. 158/2000, questa Corte ha chiarito che si tratta di contribuzione di carattere obbligatorio: l’obbligo del Fondo di provvedere ad accreditare la contribuzione presso la gestione previdenziale di iscrizione del lavoratore costituisce infatti oggetto di una autonoma obbligazione di diritto pubblico, che deriva dalle espresse disposizioni del d.m. n. 158/2000 che regolano compiutamente tanto il meccanismo di accreditamento quanto la finalità della contribuzione stessa, significativamente definita “correlata” siccome obbligatoriamente rapportata alla prestazione erogata e, dunque, non subordinata, quanto al suo verificarsi, né ad alcuna preventiva autorizzazione dell’ente previdenziale, né ad alcuna valutazione del singolo assicurato circa l’utilità che gliene possa derivare ai fini pensionistici, come invece tipicamente accade nelle ipotesi di c.d. contribuzione volontaria (Cass. n. 4433 del 2019).

26. Ciò chiarito, è evidente che la soluzione della questione relativa alla necessità o meno di un litisconsorzio con l’ente previdenziale nella controversia con cui si lamenti, da parte del lavoratore, il mancato versamento della contribuzione correlata da parte del datore di lavoro, deve risultare coerente con gli approdi  ermeneutici cui questa Corte è progressivamente pervenuta per ciò che concerne la più generale questione delle parti necessarie del giudizio in cui un lavoratore chieda la condanna del proprio datore di lavoro al pagamento all’ente previdenziale dei contributi dovuti sulla propria prestazione lavorativa: e ciò indipendentemente dal fatto che, nella specie, la normativa di settore ponga formalmente a carico del Fondo il versamento all’INPS della contribuzione correlata, trattandosi di onere che grava in ultima analisi sull’istituto di credito alle cui dipendenze ha prestato servizio il lavoratore prima dell’accesso al Fondo medesimo. 27. Al riguardo, è dato rilevare che, nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità, sono coesistiti per lungo tempo due distinti orientamenti.

28. Secondo il primo di essi, la domanda con la quale il lavoratore subordinato chieda la condanna del datore di lavoro al versamento all’INPS di contributi evasi, al fine della tutela della sua posizione assicurativa, richiede la presenza in causa dell’ente previdenziale, quale diretto interessato all’accertamento giudiziale sull’esistenza e durata del rapporto di lavoro e sulla misura della retribuzione, nonché quale destinatario del pagamento (così, tra le numerose, Cass. nn. 2452 del 1975, 2638 del 1976, 379 del 1989, 12946 del 1999).

29. Tale orientamento ha ricevuto sistemazione definitiva ad opera di Cass. S.U. n. 3678 del 2009, la quale, pronunciandosi in materia di azione promossa dal lavoratore per ottenere la costituzione della rendita vitalizia ex art. 13, comma 5 0 , I. n. 1338/1962, per essersi il datore di lavoro sottratto al versamento all’INPS della relativa riserva matematica e per il cui versamento lo stesso datore resta obbligato, ha affermato la sussistenza di un litisconsorzio necessario nei confronti dell’anzidetto datore di lavoro e dell’INPS, ravvisandone la giustificazione in considerazione del riflesso, sotto il profilo processuale, che assumono gli aspetti sostanziali rappresentati, rispettivamente, dall’interesse del lavoratore alla realizzazione dei presupposti della tutela assicurativa (con la condanna dell’INPS alla costituzione della rendita vitalizia e del datore di lavoro inadempiente al versamento della riserva matematica), dall’interesse dell’INPS a limitare il riconoscimento della rendita vitalizia ai casi di esistenza certa e non fittizia di rapporti di lavoro e dall’interesse del datore di lavoro a non trovarsi esposto, ove il giudizio si svolga in sua assenza, agli effetti pregiudizievoli di un giudicato ai suoi danni a causa del riconoscimento di un inesistente rapporto lavorativo, lontano nel tempo. E, seppure senza alcun esplicito riferimento a Cass. S.U. n. 3678 del 2009, cit., analogo principio di diritto è stato affermato da Cass. n. 19398 del 2014, che, nel riconoscere la sussistenza di un interesse del lavoratore al versamento dei contributi previdenziali di cui sia stato omesso il versamento, ha bensì ammesso la possibilità che egli chieda in giudizio l’accertamento dell’obbligo contributivo del datore di lavoro, al fine di sentirlo condannare al versamento dei contributi che sia ancora possibile giuridicamente versare nei confronti dell’ente previdenziale, a condizione però che entrambi siano stati convenuti in giudizio, a pena d’inammissibilità della domanda (nello stesso senso, da ult., Cass. n. 14853 del 2019). 30. Parallelamente a tale indirizzo, tuttavia, ne è coesistito per lungo tempo un altro (la cui ultima eco si può scorgere proprio in Cass. n. 17162 del 2016, dianzi cit.), che, argomentando dal rilievo secondo cui l’esigenza dell’estensione del contraddittorio a tutti i soggetti del rapporto previdenziale non sussisterebbe qualora venga in contestazione soltanto il rapporto di lavoro o qualche elemento del medesimo o ancora quando, instaurati validamente fra i soggetti interessati il rapporto di lavoro ed il rapporto previdenziale, la contestazione sia limitata al conseguimento di prestazioni derivanti dall’uno o dall’altro, ha escluso la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell’ente di previdenza nel giudizio promosso dal lavoratore contro il datore di lavoro per la regolarizzazione della posizione assicurativa (così, tra le tante, Cass. nn. 2684 del 1973, 66 del 1984, 442 del 1986, 72 del 1998, 10377 del 2000, 3941 del 2004): e ciò sul presupposto per cui, in controversie del genere, l’esistenza e/o l’atteggiarsi del rapporto di lavoro subordinato, che rappresenta l’imprescindibile presupposto del rapporto contributivo, costituirebbe un punto pregiudiziale, risolvibile incidenter tantum dal giudice e senza efficacia di giudicato al di fuori della causa in cui l’accertamento avviene.

31. Reputa il Collegio che al primo dei due orientamenti debba qui darsi seguito, ancorché con i chiarimenti e le precisazioni che seguono.

32. Occorre in primo luogo ribadire, con Cass. n. 19398 del 2014 e Cass. n. 14853 del 2019, che la condanna a favore di terzo è istituto di carattere eccezionale, che può trovare giustificazione solo in presenza di un’espressa previsione legislativa (quali ad es. l’art. 18, commi 2° e 4°, St. lav., e gli artt. 2, comma 2, e 3, comma 2, d.lgs. n. 23/2015). 33. Ed inoltre, le medesime ragioni di ordine logico e sistematico esaminate da Cass. S.U. n. 3678 del 2009, cit., a sostegno della necessità del litisconsorzio necessario con l’ente previdenziale allorché l’azione risarcitoria abbia ad oggetto la costituzione della rendita vitalizia, debbono valere anche nel caso in cui oggetto della domanda del lavoratore sia direttamente la condanna del datore di lavoro al pagamento in favore dell’ente previdenziale dei contributi omessi: fermo restando che esula dalle presenti considerazioni ogni indagine circa la configurabilità di una legittimazione straordinaria del lavoratore a sostituirsi all’ente previdenziale e di un suo interesse in concreto a farlo, si deve piuttosto aggiungere, a suffragio della necessità del litisconsorzio con l’ente previdenziale, che l’obbligo datoriale di pagare integralmente i contributi dovuti si configura, nell’ambito del rapporto di lavoro, come obbligo di facere, non già come un diritto di credito ai contributi da parte del lavoratore, e che la sentenza di condanna ad un facere siffatto, oltre a non essere in alcun modo direttamente utile per il lavoratore, non avrebbe effetto alcuno verso l’ente previdenziale, stante l’indisponibilità delle obbligazioni contributive e l’indiscutibile terzietà dell’ente previdenziale medesimo rispetto al rapporto di lavoro, che gli renderebbe inopponibile qualsiasi giudicato (Cass. n. 4821 del 1999) e, prima ancora, qualsiasi interruzione della prescrizione dei contributi (Cass. n. 7104 del 1992, cit.); ed è appena il caso di ricordare che, giusta la ricostruzione di Cass. S.U. n. 3678 del 2009, cit., l’esigenza della partecipazione al processo di tutti i soggetti della situazione sostanziale dedotta in giudizio sì giustifica in funzione dell’obiettivo di non privare la decisione (indipendentemente dalla sua natura di condanna, di accertamento o costitutiva) dell’unitarietà connessa con l’esperimento dell’azione proposta, ossia quando, in assenza anche di uno soltanto dei soggetti coinvolti, la sentenza risulti inidonea a produrre un qualsiasi effetto giuridico anche nei confronti degli altri: che è proprio ciò che, in assenza dell’ente previdenziale, sarebbe nella specie inevitabile. 34. In merito alle conseguenze della mancata integrazione del contraddittorio, deve rilevarsi che, per principio generale dell’ordinamento processuale, nel caso in cui la parte chieda in giudizio un bene della vita la cui attribuzione non può aver luogo senza che al giudizio partecipi un terzo non dà luogo ad un’ipotesi di inammissibilità della domanda (come ritenuto dalle già citate Cass. nn. 19398 del 2014 e 14853 del 2019), ma integra un’ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c.: e ciò a prescindere da ogni considerazione riguardante le condizioni dell’azione o la fondatezza nel merito della domanda, che sono questioni che possono essere delibate soltanto nel contraddittorio fra tutti gli interessati.

35. Pertanto, considerato che la nullità del giudizio per difetto di integrità del contraddittorio è rilevabile in ogni stato e grado del processo e dunque anche in questa sede di legittimità, con il solo limite del giudicato (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 26388 del 2008, 9394 del 2017), ne deriva ex art. 354 c.p.c. la necessità di rimettere le parti avanti al primo giudice affinché provveda alla sua instaurazione ex novo, previa integrazione del contraddittorio (giurisprudenza costante fin da Cass. n. 2786 del 1963). 36. La sentenza impugnata va quindi cassata e le parti vanno rimesse avanti al Tribunale di Salerno in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

37. Non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dalli art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228.

P. Q. M.

La Corte, provvedendo sui ricorsi, cassa la sentenza impugnata e rimette le parti davanti al Tribunale di Salerno in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4.3.2020. Il Consigliere Estensore Il Presidente (omissis). Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi dell’articolo 1 comma 1 lettera a) del d.P.C.M. 8 marzo 2020.

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