Il datore di lavoro deve far rispettare la legge anti-Covid sospendendo i non-vaccinati in mancanza di misure alternative

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  • On Settembre 29, 2021
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Il datore di lavoro, in quanto obbligato in base all’art. 2087 c.c. a garantire salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, è obbligato a far rispettare per i non-vaccinati della sanità le norme di legge contro la pandemia da SARS-CoV-2, disponendo tutte le misure necessarie e quelle di legge fino alla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, se non sono possibili misure alternative. Per i lavoratori espressamente indicati dal D.L. n. 44/2021 (sanitari che svolgano attività in strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, in farmacie e parafarmacie), che non siano vaccinati contro la SARS-CoV-2, è prevista la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, alla condizione di legge che non esistano in azienda posizioni lavorative alternative, astrattamente assegnabili, atte a preservare la condizione occupazionale/retributiva e compatibili con la tutela della salubrità dell’ambiente di lavoro, in quanto non prevedenti contatti interpersonali con soggetti fragili o non-comportanti, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. Spetta al datore di lavoro l’onere di provare che non esistono misure alternative alla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione (c.d. repêchage), a pena altrimenti di corrispondere la normale retribuzione ai lavoratori illegittimamente sospesi ma sempre con divieto di lavoro e presenza dei non-vaccinati.

Per il personale sanitario e categorie equiparate impossibilità di lavorare con obbligo di sospensione se non esistano soluzioni alternative

Con sentenza del 16 settembre 2021, il Tribunale del lavoro di Milano ha applicato quanto previsto espressamente dalla legge (art. 4 del D.L. 1° aprile 2021, n. 44, conv. con mod. dalla L. 28 maggio 2021, n. 76) e cioè che per le categorie indicate c’è l’obbligo di vaccinazione gratuita contro il Covid (più precisamente SARS-CoV-2) non oltre il 31 dicembre 2021, e chi non si vaccina non può lavorare in quanto «temporaneamente inidoneo».

Il Tribunale di Milano ha poi precisato che, in base all’art. 2087 c.c., l’obbligo di far rispettare la legge anti-Covid è a carico del datore di lavoro, che a sua volta sarebbe inadempiente se tollerasse il lavoro vietato; anzi, va ricordato che sempre in base all’art. 2087 c.c. il datore di lavoro, a salvaguardia di salute e sicurezza, deve far rispettare non solo le norme espresse ma anche tutte le misure «necessarie» perfino senza espressa disposizione. Il potere unilaterale di far tutto per evitare il contagio da Covid costituisce quindi per il datore di lavoro un obbligo preciso, cui potrebbe rispondere in sede sia civile che penale. Per evitare il contagio va fatto il necessario, fino alle misure più gravi come la sospensione, ma solo in mancanza di misure alternative.

Né il Tribunale di Milano avrebbe potuto decidere diversamente, dato che l’obbligo di vaccinazione anti-Covid è previsto dalla legge (art. 4 del D.L. n. 44/2021), che il giudice deve solo applicare e per cui potrebbe solo sollevare questione di legittimità costituzionale. Il Tribunale di Milano nemmeno accenna, invece, a dubbi di incostituzionalità, fra l’altro già respinti dal Trib. Belluno, 6 maggio 2021 (r.g. n. 328/2021, Pres. U. Giacomelli. Rel. C. Sandini).

L’obbligo di vaccinazione gratuita contro il Covid, confermato dal Tribunale di Milano, riguarda gli operatori d’interesse sanitario (ex art. 1 comma 2 L. 1° febbraio 2006, n. 43), che svolgano attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali. Il Tribunale di Milano ha inoltre confermato, secondo legge, che la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative.

C’è dunque nella legge un doppio obbligo, per le attività sanitarie o le altre attività indicate: il primo espresso è, nei confronti di chi lavora, di vaccinarsi, mentre il secondo obbligo è per il datore di lavoro, derivato dall’art. 2087 c.c., di proibire sempre e comunque, senza eccezioni, che i non-vaccinati svolgano i lavori indicati o comunque che restino negli ambienti dove si svolgono le attività sanitarie.

Agli organi pubblici spetta la verifica sullo stato delle vaccinazioni, ma ex art. 2087 c.c. è a carico del datore di lavoro l’obbligo di impedire che i non-vaccinati creino con il lavoro o con la loro presenza un rischio di contagio. Attraverso il richiamo dell’art. 2087 c.c., il divieto di lavoro per i non-vaccinati comprende anche un divieto di semplice presenza materiale negli ambienti di lavoro.

Le conclusioni cui è giunto il Tribunale di Milano ex art. 2087 c.c. sono state poi confermate, per il green pass, nel decreto-legge che ha posto espressamente a carico del datore di lavoro pubblico o privato l’obbligo di applicare la legge ed ha precisato che in mancanza o senza mancata semplice esibizione del green pass è vietato anche l’accesso negli ambienti di lavoro (D.L. 21 settembre 2021, n. 127, art. 1 comma 4 ed art. 3 comma 5).

Il repêchage con onere della prova a carico del datore di lavoro

La legge prevede anche l’obbligo del c.d. repêchage, per cui il datore di lavoro deve adibire il lavoratore non-vaccinato, ove possibile, a mansioni anche inferiori, diverse da quelle d’appartenenza, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate; comunque vanno impediti rischi di diffusione del contagio. Se l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, il datore di lavoro deve disporre una sospensione senza retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato.

Si ripropone dunque un meccanismo usato più volte, come quello per la maternità quando il lavoro diventi pregiudizievole dopo la gravidanza per condizioni di lavoro o ambientali, con obbligo di adibire la lavoratrice ad altre mansioni anche inferiori, ma conservando la retribuzione precedente (art. 7, comma 4, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151); in modo simile è disposto per gli invalidi (art. 4, comma 4, L. 12 marzo 1999, n. 68) e per intervenuta inidoneità alle mansioni (art. 42, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81).

C’è però la differenza che, mentre nei casi appena indicati nello spostamento a mansioni inferiore si conserva il trattamento precedente, per chi rifiuti i vaccini obbligatori lo spostamento a mansioni inferiori comporterà il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, che può essere anche minore.

Per legge, dunque, la prova dell’impossibilità del repêchage è a carico del datore di lavoro. Dato che lo spostamento è ammesso solo in ambienti senza rischio di contagio, si può prevedere che il repêchage sarà difficile se non impossibile per le piccole unità, mentre dovrebbe essere meno difficile per dimensioni medio-grandi. Va però ricordato che, per evitare il contagio, lo spostamento a lavoro alternativo dev’essere tale da rendere impossibile qualunque contatto dei non-vaccinati con chiunque altro, dato che il divieto per i non-vaccinati riguarda non solo il lavoro, ma anche l’ambiente. Si dovrebbe trovare un luogo di lavoro del tutto separato in cui sia impossibile entrare, ipotizzabile per un lavoro “da lontano” ma irreale per le attività sanitarie, che si effettuano sulla persona.

Nel caso del Tribunale di Milano, qui commentato, sembra che il datore di lavoro non abbia dato alcuna prova dell’impossibilità di spostare a mansioni senza rischio di contagio. Senza prova dell’impossibilità di repêchage, il Giudice non poteva far altro che dichiarare illegittima la sospensione.

La sensazione è però di un vizio più processuale che sostanziale, nel senso cioè che è mancata la formale eccezione mentre nella sostanza la prova sarebbe stata relativamente semplice.

Dichiarata l’illegittimità della sospensione, il Tribunale di Milano ha comunque affermato il divieto di «riammissione in servizio»; per l’illegittima sospensione saranno dovute le retribuzioni, ma resta drastico ed inderogabile il divieto di far lavorare o anche solo avere contatti negli ambienti di lavoro con i non-vaccinati contro legge.

In conclusione, la sentenza del Tribunale di Milano conferma in modo chiaro e preciso il divieto, comunque, di far lavorare o avere contatti negli ambienti di lavoro chi non si vaccini secondo la legge; eventuali errori procedurali potranno comportare conseguenze solo economiche, a carico del datore di lavoro, ma sempre con il divieto di far lavorare o di permettere contatti negli ambienti di lavori.

Errori in Rete sul Trib. Milano e conferme della giurisprudenza precedente

Subito pubblicata in Rete, la sentenza esaminata è stata commentata come se avesse fatto affermazioni diverse, opposte a quelle reali, facendo intendere – in modo del tutto sbagliato – che per il Tribunale di Milano i datori di lavoro non potrebbero mai sospendere senza retribuzione gli operatori sanitari non-vaccinati e, a farlo, dovrebbero pagare gli arretrati.

Il Tribunale di Milano ha invece affermato con certezza e precisione (anticipando se si vuole quanto sarà reso più esplicito per il green pass), che è a carico del datore di lavoro l’obbligo, e non solo il potere, di fare tutto per evitare i rischi di contagio che derivano dalla presenza dei non-vaccinati, fino a sospendere dal lavoro e dalla retribuzione gli operatori sanitari che non si volessero vaccinare.

La giurisprudenza precedente era stata unanime nel confermare, senza perplessità e nemmeno critiche, la necessità della sospensione salvo onere di repêchage.

Il Tribunale collegiale di Belluno in sede di reclamo su ricorso ex art. 700 c.p.c. (Trib. Belluno, 6 maggio 2021, già cit.) aveva confermato la sospensione senza retribuzione di alcune Operatrici socio-sanitarie di Belluno che non s’erano vaccinate, vietando loro la presenza nell’ambiente di lavoro, per un primo periodo in base ai principi generali ed in particolare all’art. 2087 c.c. e quindi, per il periodo successivo, in base al D.L. n. 44/2021 nel frattempo emanato; inoltre, come detto, lo stesso Trib. Belluno aveva dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità del D.L. n. 44/2021.

Il Tar Puglia-Lecce, Sez. II, decreto del 4-5 agosto 2021, n. 480 ha dichiarato legittima la sospensione dall’Ordine di un medico che aveva rifiutato di vaccinarsi, osservando inoltre che l’interessato aveva avuto un atteggiamento solo dilatorio sull’onere della prova sul repêchage.

Anche il Tribunale di Roma (Sez. lav.) con ordinanza del 28 luglio 2021 ha confermato la legittimità della sospensione per i non-vaccinati obbligatoriamente, confermando anche, secondo legge, che la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione non costituisce provvedimento disciplinare. Sempre per la legittimità della sospensione s’è pronunziato il Tribunale di Modena con ordinanza n. 2467 del 23 luglio 2021.

La pronunzia forse più nota è quella sul green pass per il personale scolastico del Tar Lazio (Sez. III-bis), che con decreto 1° settembre 2021, n. 8539 fra l’altro ha dichiarato legittime le disposizioni che impongono il vaccino anti-Covid, fino all’automatica sospensione dal lavoro e dalla retribuzione salvo mancata adibizione ad altre e diverse mansioni.

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Il Quotidiano Giuridico

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