Corte Costituzionale del 23/09/2016 n. 213: il convivente rientra tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito

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  • On Dicembre 13, 2016
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La Corte Costituzionale, con sentenza del 23 settembre 2016, numero 213, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, numero 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) e successive modifiche, nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado.
La questione di legittimità costituzionale della citata norma era stata sollevata dalla Sezione Lavoro del Tribunale Civile di Livorno per presunto contrasto con gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione.
Il giudice a quo aveva evidenziato il contrasto della norma con l’art. 2 della Costituzione in quanto non consentirebbe alla persona affetta da handicap grave di beneficiare della piena ed effettiva assistenza nell’ambito di una formazione sociale che la stessa ha contribuito a creare e che è sede di svolgimento della propria personalità. Il rimettente aveva rilevato, altresì, la violazione dell’art. 3 della Costituzione, unitamente agli articoli 2 e 32 Cost., per la disparità di trattamento che si verrebbe a creare tra il portatore di handicap inserito in una stabile famiglia di fatto ed il soggetto in identiche condizioni facente parte di una famiglia fondata sul matrimonio. Tale disparità, ad avviso del rimettente, comprometterebbe la tutela della salute psico-fisica della persona affetta da handicap grave prevista dall’art. 32 della Costituzione, nonché la tutela della dignità umana e quindi dei diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art. 2 della Costituzione, intesi come beni primari non collegabili geneticamente ad un preesistente rapporto di matrimonio ovvero di parentela o affinità.
La Corte ha ritenuto fondata la questione sulla base della ratio legis dell’istituto in esame.
Ed invero, l’interesse primario della norma in esame è quello di assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzano in ambito familiare. L’istituto del permesso mensile retribuito è dunque in rapporto di stretta connessione con le finalità perseguite dalla citata legge n. 104 del 1992 perché favorisce la cura e l’assistenza della persona portatrice di handicap a tutela della salute psico-fisica della medesima.
Così inquadrata la ratio legis della norma in questione, la Corte ha ritenuto che il contrasto con l’art. 3 della Costituzione rilevi non per violazione del principio di uguaglianza (restando, comunque, diversificata la condizione del coniuge da quella del convivente) quanto per l’irragionevole esclusione del convivente nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito.
Tale contradditorietà logica emerge, in particolare, nei casi in cui la convivenza si fondi su una relazione affettiva, tipica del rapporto familiare, e la cui tutela è sancita dall’art. 2 della Costituzione quale formazione sociale in cui il singolo individuo svolge la sua personalità.
Diversamente opinando, il diritto costituzionalmente garantito del portatore di handicap a ricevere assistenza nell’ambito della sua comunità di vita, verrebbe ad essere irragionevolmente compresso solo perché la norma richiede il rapporto di parentela o coniugio e non perché vi è un’effettiva carenza di soggetti, con i quali sussiste un rapporto qualificato sul piano affettivo, in grado di prestare le cure necessarie.
La Corte conclude affermando che “ […] Se, dunque, l’art. 3 Cost. è violato per la non ragionevolezza della norma censurata, gli artt. 2 e 32 Cost. lo sono, quanto al diritto fondamentale alla salute psico-fisica del disabile grave, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità […]”.

A cura di Laura Sicari

Leggi il testo integrale della sentenza.

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