Contratto a termine illegittimo nel pubblico impiego e prosecuzione di fatto dopo la scadenza: le conseguenze per la pubblica amministrazione e per il lavoratore

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  • On Novembre 9, 2018
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di Sergio Cosentino, Avvocato


Nel caso di specie, il lavoratore, avendo prestato sette anni di attività nell’ambito del Programma di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio (c.d. PRUSST) in cui erano coinvolti numerosi comuni, alla cessazione del rapporto, ha agito in giudizio chiedendo la reintegrazione in servizio o, in subordine, la conversione del contratto a termine o, in alternativa, il risarcimento dei danni ex art. 32 della legge del 4 novembre 2010 n. 183 e, in ogni caso, il pagamento di differenze retributive a titolo di retribuzione ordinaria e di compensi incentivanti maturati nel corso del rapporto cessato. Il Comune si è costituito in giudizio contestando integralmente le pretese di controparte e, in particolare, la legittimità del recesso dal contratto a termine anche in considerazione della dedotta nullità delle successive proroghe.

All’esito del giudizio, il Tribunale di Catania ha rigettato le domande avanzate dal lavoratore ritenendo che il lavoratore non possa vantare il diritto ad essere reintegrato alle dipendenze dell’Ente pubblico sulla scorta delle ragioni di nullità della proroga contrattuale. Peraltro, il fatto che l’ente convenuto sia un Comune consente di escludere la fondatezza della domanda di «conversione» del contratto a termine in questione, in ragione dell’art. 36 d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165.

D’altra parte, in base agli insegnamenti della Suprema Corte di Cassazione, il Giudice ha, invece, ritenuto di dover accogliere la domanda di risarcimento dei danni ex art. 32 della citata legge 183/2010  (cfr. Cass. S.U., 15 marzo 2016 n. 5072). Tenuto conto della durata del contratto e dei parametri fissati da detta norma, il Tribunale di Catania ha fissato il risarcimento nella misura di 4,5 mensilità.

Il Giudice del lavoro ha, inoltre, rigettato la domanda relativa al pagamento delle differenze retributive e dei compensi incentivanti, non avendo il lavoratore fornito nessuna specifica allegazione in merito alle concrete attività svolte, nonché in merito alle ore di lavoro che lo stesso sosteneva di aver svolto; ed invero, l’annullamento del contratto a termine – come detto, ritenuto legittimo dal Tribunale etneo – comporta la riconduzione di tali domande nell’alveo dell’art. 2126 cod. civ. ma ciò comporta che l’onere della prova relativo alle prestazioni concretamente rese è integralmente a carico del lavoratore.

Sentenza n. 4393_2018

 

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